Le Passager di Jean-Christophe Grangé: la velocità di 300.000 copie in un mese dietro l’ «Amnesia» di una fuga psicogena !
(Mariangiola Castrovilli) – Gli si darebbe volentieri un secondo sguardo. Alto, dinoccolato, jeans e pullover blu su una camicia aperta sul collo che gli dà un’eleganza non chalant, grandi occhi azzurro cupo che ti squadrano sornioni, un sorriso disarmante, ecco Jean-Christophe Grangé, giornalista, scrittore e sceneggiatore francese. Nel 2007 ha vinto con “I fiumi di porpora” il premio Grinzane Cinema per il miglior libro da cui è stato tratto un film. Tradotto in trenta lingue, Grangé è uno dei più venduti autori di thriller in tutto il mondo.
L’abbiamo incontrato a Roma, ultimo appuntamento nell’ambito della terza edizione del Festival de la Fiction francaise – Festival della narrativa francese, dove è venuto a presentare il suo ultimo romanzo “Le Passager”, che in un solo mese ha venduto 300.000 copie, piazzandosi così al primo posto dei bestseller francesi. Edito da Garzanti, “Amnesia” come è stato tradotto in italiano, ha un qualcosa che vi lascia con la sospirosa ansia di riprenderlo in mano la sera per il sottile piacere di andare avanti in queste 752 pagine che entrano a leggere nella vostra vita rendendovi dipendenti dalla storia.
Personalmente preferisco non raccontarvi il romanzo perché trovo che i libri si debbano leggere perciò abbiamo chiesto all’autore di tratteggiarci i contorni e i retroscena della genesi dell’idea «Nasce dall’incontro con un amico produttore cinematografico che mi disse di aver letto un libro di uno psicanalista americano sulla fuga psicogena. Ho approfondito l’idea, oltremodo appetibile per uno scrittore di thriller per il suo potenziale umano. Mi sono documentato e l’ho sviluppata al punto di trarne un romanzo».
Ma secondo lei non è un soggetto abusato quello di un uomo senza memoria?
«Parlo si di amnesia, ma quella di un uomo che ogni volta è un altro personaggio. Un meccanismo implacabile perché mano a mano le sue fughe psicogene lo portano ad investigare su se stesso. Ed ogni volta che sembra ritrovare la memoria ecco presentarglisi un’altra personalità ed una nuova vita. Risale così a ritroso i vari “Io” precedenti per nascondere qualcosa di misterioso nella sua vita. E trovare il coraggio di affrontare il pericolo più grande, se stesso. Sono l’ombra. Sono la preda. Sono l’assassino. Ho una sola scelta. Uccidere l’altro. Ma se l’altro fossi io?».
In questo suo romanzo si sente ancora di più il suo legame con il cinema, che difficoltà ha incontrato per trovare una soluzione che sia coinvolgente e credibile per il lettore? «Sono stato reporter free lance per 10 anni ed in questo personaggio ho messo tanti argomenti che avevo sviluppato come cronista. Ci vogliono molti dettagli veritieri perché il lettore creda veramente e permetta ai particolari più fantasiosi di passare. Finora gran parte del materiale su cui si basano i miei libri è costituito dai miei ricordi di reporter. Il lettore deve vivere in equilibrio tra ciò che è vivo e reale e quello che non lo è».
Grangè percorriamo adesso una strada più sua, più personale, per esempio, cosa faceva a 12 anni? «Penso che stessi facendo judo».
Entrando in una stanza dove ci sono 3 donne, cosa la colpisce di più? «La più bella».
La sua città preferita al mondo? «Parigi».
Il pubblico più caloroso? «Quello turco».
Cosa ha imparato dall’amore? «Che è totalizzante».
E dall’amicizia? «Ho imparato il 10%».
La sua passione la più divorante? «La scrittura».
E’ mai andato da uno psicanalista? «Si ci vado da alcuni anni».
Cosa sta leggendo adesso e in che lingua? «Il tribunale delle anime di Donato Carrisi in francese».
Cosa vede al cinema «Di tutto perché mi piace molto».
Se la sua vita fosse un film, chi sarebbe il regista? «Paul Greengrass».
Cosa vede a teatro? «Niente perché non ci vado mai».
La sua casa brucia, cosa mette in salvo? «Il mio pc».
La virtù che apprezza di più in un essere umano? «La generosità».
Ed il difetto che detesta di più? «La tirchieria».
In che romanzo non suo le piacerebbe abitare? «Gorki Park, un eccellente poliziesco sulla Russia».
Grangè, ha una parola che utilizza più delle altre?
Jean Christophe si ripete la domanda, ci pensa un po’ su con un eeehhhhhhhhhhhhhh e poi gira gli occhi intorno come a cercare la sua parola più usata per poi concludere, «non lo so, non credo di averla…».
Cosa mangia la domenica «Più o meno le stesse cose di tutti i giorni, ma il piatto che non manca mai è la caprese, pomodori e mozzarella».
Deve partire per un’isola deserta con solo una borsa, cosa porta con se? «Il problema è che sull’isola certamente non ci sarebbe elettricità… bè un quaderno e una penna. All’antica, come ai vecchi tempi».
Cosa avrebbe voluto avere e non ha avuto? «Una migliore conoscenza della musica di quanto in effetti non abbia».
Il libro che avrebbe voluto scrivere e che non ha ancora scritto? «Non saprei, magari una commedia sentimentale».
Arthur Miller diceva ‘erano tutti miei figli’ ma c’è un suo romanzo che ama di più? «Miller aveva ragione, come se si potessero fare differenze tra i figli. Mi sono tutti cari alla stessa maniera».
Come vorrebbe essere ricordato? «Come un buon scrittore di polizieschi».
Se dovesse spiegare ad un bambino cos’è la morte, come lo farebbe? «Dicendogli di aver fede, perché certamente c’è qualcosa dall’altra parte».
Cosa non porterebbe mai nemmeno se non avesse altro da mettersi? «Una cravatta».
Cos’è l’ultima cosa che fa prima di addormentarsi? «Abbraccio mia moglie».
Le restano soltanto 12 ore da vivere, che farebbe? «Cercherei di scrivere il più velocemente possibile».