COSMOPOLIS: La maestria di Cronenberg e la dimensione profetica di Don DeLillo
(Mariangiola Castrovilli) – Subito dopo Cannes è approdato a Roma in 280 copie distribuite dalla 01 l’interessante film di David Cronenberg che aveva animato per i primi dieci giorni della rassegna cannense le discussioni di pubblico e stampa internazionale ansiosi di vedere il suo ultimo lavoro perchè Cosmopolis nasce dalla collaborazione con lo scrittore italo americano Don De Lillo autore dell’omonimo libro, il suo quindicesimo, pubblicato in Italia da Einaudi nel 2003.
Ed è la prima volta che un suo romanzo approda al grande schermo perché, pur essendo uno degli autori più interessanti per i produttori, è sempre stato accantonato all’ultimo minuto per difficoltà di adattamento. Solo il portoghese Paulo Branco, produttore prolifico e chiaroveggente nel 2007 acquistò i diritti del suo libro.
Di li a sottoporre l’idea a Cronenberg che ha riscritto il soggetto e l’ha diretto, il passo è stato breve. Cosmopolis interpretato da Robert Pattinson, l’idolo dei giovani per essere stato l’eroe di Twilight, vede un cast di tutto rispetto da Samanta Morton a Jay Baruchel passando per Paul Giammatti, Kevin Durand e Juliette Binoche.
La storia, che ormai tutti conoscono, è quella di Eric Packer un genio della finanza diventato ricchissimo a soli 28 anni che si mette in testa di attraversare N.Y con la sua limo super attrezzata tecnologicamente per andare a farsi tagliare i capelli dal barbiere di suo padre, all’altro capo della città. Mal scelta la giornata funestata da un insieme di circostanze concomitanti come un traffico impazzito per la visita del presidente degli Stati Uniti, disordini organizzati da un movimento anti Wall Street e per non farsi mancare nulla anche da uno spaventoso crac finanziario mondiale. Quella di Eric, è una lunga limo bianca che lui usa preferibilmente come ufficio-garconniere consumando sesso veloce e disimpegnato, con il capo della sua sicurezza perennemente in ascolto – studio medico – ogni giorno infatti si fa fare un ceck up – e sala di ricevimento -.
Solo sua moglie – un’algida Sarah Gadon – ha un rifiuto viscerale a salirci indovinando l’uso improprio della macchina.
In questa giornata succede di tutto fuori e dentro il mondo di Eric, che da arrogante saputone viene colpito dal crollo finanziario che lo riduce quasi sul lastrico, alla malattia, un’asimmetria alla prostata trovatagli dal medico che lo ha visitato in macchina mentre lui, in una posizione molto poco ortodossa, cerca di sedurre la donna che gli siede di fronte. Sembra aver accettato bene tutto questo fino a che…
Charmante e disponibile come sempre Cronenberg a Cannes ha risposto a molte domande insieme ai suoi attori, al produttore Paulo Branco e allo scrittore Don De Lillo.
Cronenberg come è arrivato a Cosmopolis? «Conoscevo già i libri di De Lillo, quando Paolo Branco mi ha fatto leggere questo di cui aveva acquistato i diritti.
Ho subito accettato di farne un film e ne ho scritto il copione in sei giorni riportando i dialoghi che ho trovato straordinariamente ben fatti, unici direi, con un proprio ritmo, realistici e al tempo stesso stilizzati. Un vero record per me che non avevo mai impiegato meno di una settimana per scrivere una sceneggiatura».
E’ la fine di un sistema quella che qui ci racconta in maniera intima?
«Il romanzo esisteva già, De Lillo l’aveva scritto nel 2001, quello che trovo agghiacciante è la sua dimensione profetica, soprattutto vedendo quello che succede oggi, come il movimento ‘Occupy Wall Street’, (una contestazione pacifica che denuncia gli abusi del capitalismo finanziario ndr) sceso in piazza mentre la mattina stavamo girando a NY. La sera era già catastrofe sui giornali. Ci siamo chiesti se era la fine del sistema, quasi un documentario invece di un film».
Curiosa la fine di Cosmopolis
«Lo ammetto, gli ultimi venti minuti sembrano quasi un lavoro teatrale. Come se all’interno della pellicola ci fosse un cortometraggio. La camera si avvicina e poi si allontana dall’attore. Per me il volto di un essere umano che parla rappresenta la vera essenza del cinema. Quando montavo nella mia roulotte, osservavo le riprese, la luce, facendo attenzione ad ogni minimo dettaglio. E’ stato un film non facile da realizzare».
Cronenberg la scelta di Pattinson per un giovane con una tendenza quasi autoditruttiva…
«Perchè vedevo in lui un’autodistruzione abbinata però ad una grande potenza per cui era perfetto per il ruolo. Non voglio che i mie attori recitino ma che siano se stessi. Robert oltretutto aveva un carisma che usciva ad ogni istante sullo schermo in tutte le scene del film, cosa molto rara. Avevamo bisogno di qualcuno che la gente amasse andare a vedere al cinema».
Si potrebbe dire che Pattinson qui è una specie di vampiro che succhia il sangue di Wall Sreet?
«Trovo che sarebbe riduttivo. Un attore non può recitare un concetto astratto. Doveva essere un personaggio con un proprio passato. Cosmopolis evoca lo spettro del capitalismo. Abbiamo quasi citato il manifesto di Karl Mark…».
Pattison come si è preparato al ruolo?
«Mi sono rinchiuso nella mia stanza in albergo ponendomi tutti i problemi del mondo, non sapendo più dove stavo andando a parare. Così mi decisi ad andare da David per parlare del film, ma lui ha subito sdrammatizzato dicendomi “intanto cominciamo e poi vedremo”. E’ stato impossibile preparare questo personaggio come se fosse un ruolo abituale. Mi sono innamorato del copione che ho trovato molto lirico, avevamo quasi l’impressione di cantare una canzone. Stavamo ricreando un mondo che non ha nessun senso e che ha bisogno di essere purificato».
Robert, com’è stato per lei girare con Cronenberg?
«Lui si assenta spesso per verificare quello che abbiamo appena finito di girare. Di solito i registi sono molto esigenti, e finiscono per sfinirci. David è diverso, lui ci ascolta, si rende conto di tutto. Bisogna stare in campana quando si gira con lui».
Cronenberg, questa limousine proustiana come la chiama De Lillo…
«Un neologismo dello scrittore che si riferisce al sughero con cui Marcel Proust aveva fatto tappezzare la sua stanza, creando il verbo ‘proustare’. Non so quanti coglieranno quest’allusione, ma non avevo nessuna intenzione di spiegarla perché credo che in qualsiasi maniera la parola creerà un interrogativo, una distorsione. Abbiamo lavorato molto agli interni della limo, che all’esterno è identica a tutte le altre. Quella specie di trono su cui siede Packer è un po’ inverosimile, ma sta a significare il rapporto di forza del signore del luogo con i suoi visitatori. Ma queste modifiche, compreso il pavimento di marmo sono già indicate nel libro».