L’Olocausto in scena sugli schermi del Karlovy Vary con un soggetto audace
Sessantatre anni, simpatico e spiritoso, capelli e baffi brizzolati Paul Schrader è a Karlovy Vary per accompagnare il suo film “Adam Resurrected”, il racconto di un sopravvissuto all’Olocausto e dei suoi problemi emozionali visti con un impatto narrativo prorompente.
«Sono stato tirato in ballo in questo lavoro» afferma il regista «visto che il materiale era piuttosto audace e ad Hollywood i papabili ne erano spaventati. Credo che il mio nome sia saltato fuori solo perché non ho paura di affrontare soggetti problematici». Ottima l’interpretazione di Jeff Goldblum che è in scena dal principio alla fine.
(Mariangiola Castrovilli) – Nasce come critico cinematografico di tutto rispetto scrivendo volumi come Trascendental Style in Film, Ozu, Bresson e Dreyer. Una cosa tira l’altra si sa ed eccolo a firmare sceneggiature che vanno come il pane tra cui Ozuka diretto da Sidney Pollack, Obsession per Brian De Palma, Taxi Driver per Scorsese che gli vale la sua prima nomination per i Golden Globe, per poi dedicarsi alla regia con Blu Collar, Hardcore, American Gigolo, Auto Focus tanto per citarne alcuni. Stiamo parlando di Paul Schrader qui a Karlovy Vary per accompagnare il suo film Adam Resurrected tratto dal romanzo Adam son of dog dell’israeliano Yoram Kaniuk.
Sessantatre anni, simpatico e spiritoso, capelli e baffi brizzolati, sguardo indagatore ed un abbigliamento casual raffinato con pantaloni e polo neri su comodi mocassini, è difficile associarlo all’idea dell’autore di alcuni film che ci hanno fatto sussultare per la profonda esplorazione delle forze del male, della paura e dell’ossessione. Il suo ultimo lavoro, Adam Resurrected è ancora un ritorno al lato oscuro dell’anima di un individuo (Jeff Goldblum) intrappolato nell’inferno dei suoi ricordi, nel magico e realistico racconto di un sopravvissuto all’Olocausto e dei suoi problemi emozionali visti con un impatto narrativo prorompente.
Schrader, cosa l’ha portata verso questo personaggio così particolare?
«E’ una lunga storia» dice pensosamente il regista, «che coinvolge i produttori Ehud Bleiberg e Werner Wirsing. Questo soggetto è stato la passione di Bleiberg che per oltre vent’anni se lo scriveva e riscriveva.
Ad un certo punto mi tira in ballo visto che il materiale era piuttosto audace e ad Hollywood i papabili come registi ne erano spaventati.
Credo che il mio nome sia saltato fuori solo perché non ho paura di affrontare soggetti diciamo… problematici e poi non essendo ebreo, non mi potevo certo considerare un probabile candidato».
«Quando leggo il soggetto di quest’uomo che pensa di essere un cane che incontra un cane che pensa di essere un ragazzo sono rimasto letteralmente affascinato da questa metafora così straordinariamente potente da trascendere in qualche modo l’Olocausto» riprende il regista, «ma avrebbe potuto essere ugualmente valida che so, per il Gulag. Così dissipata ogni riserva riguardo l’Olocausto, perché penso che ci siano già abbastanza film su questo soggetto e sono fermamente convinto che il mondo non stia ansiosamente aspettandone un altro firmato da me, mi sono messo al lavoro».
Certo ma lei non ha mai avuto riserve verso film provocatori…
«E’ una questione di tempi. Adesso stiamo assistendo al collasso del cinema indipendente e del dramma impegnato in quello commerciale. Qualche giorno fa stavo parlando con qualcuno degli studios che mi diceva come fosse impossibile adesso finanziare dei lavori drammatici. Tutti questi soggetti da noi negli States stanno oggi migrando verso la televisione».
Ottima l’interpretazione di Goldblum che è in scena dal principio alla fine…
«Jeff fa parte di quella categoria di attori iperpreparati che hanno poca vita privata e si dedicano solo al lavoro, che è diventato ormai un’ossessione, perché non si pensa più a nient’altro.
Pensi che Jeff ha studiato la parte a memoria già un anno prima che cominciassimo a girare…».