“La fattoria degli animali” a cura di Alessandro Caramis
Questa rubrica (dal nome del celebre libro di George Orwell) intende affrontare fatti di rilevante attualità attraverso un taglio sociologico. Andare “oltre il pensiero” può voler dire anche andare oltre le categorie comuni di interpretazione della realtà.
Prendendo a prestito categorie e strumenti dalle scienze sociali si cercherà, manifestando apertamente i propri principi di preferenza personale, di leggere i fenomeni sociali che ci circondano con un’inedita “lente di ingrandimento” sul dibattito politico, economico e culturale odierno.
L’ALTRA ITALIA: COMUNICAZIONE POLITICA E POPULISMO MEDIATICO
Il giorno dopo la lunga notte delle elezioni, l’Italia si è svegliata riconoscendo con stupore e incredulità che l’immagine che si era fatta di se stessa non corrispondeva alla verità. Si è parlato di un paese diviso, polarizzato, politicamente “spaccato” a metà. Si dice che ci sono due Italie che non comunicano e che si ignorano a vicenda. Non è in realtà una novità, dai tempi della divisione tra monarchici e repubblicani.
Forse la più grande scoperta è stata quella che mezz’Italia non si è affatto de-berlusconiozzata bensì continua ad appoggiare il partito di maggioranza relativa nel paese che è Forza Italia , il suo leader e la sua coalizione.
Cosa ha portato a questo? Cosa è stato ignorato? Cercherò di fornire alcuni spunti di riflessione partendo dal presupposto che tra l’Italia sconosciuta e ignorata che ha votato per Berlusconi e la sua coalizione vi è una parte che rappresenta dei gruppi e dei ceti sociali la cui identità e appartenenza è minacciata dagli attuali processi di globalizzazione.
Prendo a prestito la definizione che Charles Kupchan (ex consigliere di Bill Clinton) scrive al “Corriere della Sera”: “In Italia, come in America, l’identità dei paesi ricchi è minacciata dalla nuova economia, l’opinione pubblica è disorientata dall’emigrazione, dalla globalizzazione, da campagne elettorali via via più ciniche, dominate da lobby. L’opinione pubblica si aliena dal dibattito politico e Silvio Berlusconi si dimostra maestro nel presentarsi come “al di sopra” della politica, erede di una storia diversa. (…) In Europa, come negli Stati Uniti, la sinistra è messa in difficoltà dalla nuova economia. L’afflusso degli emigranti, la fine dell’industria classica, l’outsourcing , i posti di lavoro che vanno all’estero creano un risentimento che avvantaggia la destra e apre vuoti nelle file dei tradizionali elettori progressisti”.
Personalmente aggiungo che a far questo contribuiscano tre fattori: l’attuale dibattito politico che usa l’arena televisiva e mediatica come luogo di propaganda e di scontro politico; l’emergere del territorio come protagonista dei bisogni e delle paure degli elettori e l’uso del populismo come nuova arma politica per conquistare i voti di persone e gruppi sociali tra loro eterogenei, privi di rappresentanza e di una forte identità.
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“La fattoria degli animali” a cura di Alessandro Caramis
Questa rubrica (dal nome del celebre libro di George Orwell) intende affrontare fatti di rilevante attualità attraverso un taglio sociologico. Andare “oltre il pensiero” può voler dire anche andare oltre le categorie comuni di interpretazione della realtà.
Prendendo a prestito categorie e strumenti dalle scienze sociali si cercherà, manifestando apertamente i propri principi di preferenza personale, di leggere i fenomeni sociali che ci circondano con un’inedita “lente di ingrandimento” sul dibattito politico, economico e culturale odierno.
L’ALTRA ITALIA: COMUNICAZIONE POLITICA E POPULISMO MEDIATICO
Il giorno dopo la lunga notte delle elezioni, l’Italia si è svegliata riconoscendo con stupore e incredulità che l’immagine che si era fatta di se stessa non corrispondeva alla verità. Si è parlato di un paese diviso, polarizzato, politicamente “spaccato” a metà. Si dice che ci sono due Italie che non comunicano e che si ignorano a vicenda. Non è in realtà una novità, dai tempi della divisione tra monarchici e repubblicani.
Forse la più grande scoperta è stata quella che mezz’Italia non si è affatto de-berlusconiozzata bensì continua ad appoggiare il partito di maggioranza relativa nel paese che è Forza Italia , il suo leader e la sua coalizione.
Cosa ha portato a questo? Cosa è stato ignorato? Cercherò di fornire alcuni spunti di riflessione partendo dal presupposto che tra l’Italia sconosciuta e ignorata che ha votato per Berlusconi e la sua coalizione vi è una parte che rappresenta dei gruppi e dei ceti sociali la cui identità e appartenenza è minacciata dagli attuali processi di globalizzazione.
Prendo a prestito la definizione che Charles Kupchan (ex consigliere di Bill Clinton) scrive al “Corriere della Sera”: “In Italia, come in America, l’identità dei paesi ricchi è minacciata dalla nuova economia, l’opinione pubblica è disorientata dall’emigrazione, dalla globalizzazione, da campagne elettorali via via più ciniche, dominate da lobby. L’opinione pubblica si aliena dal dibattito politico e Silvio Berlusconi si dimostra maestro nel presentarsi come “al di sopra” della politica, erede di una storia diversa. (…) In Europa, come negli Stati Uniti, la sinistra è messa in difficoltà dalla nuova economia. L’afflusso degli emigranti, la fine dell’industria classica, l’outsourcing , i posti di lavoro che vanno all’estero creano un risentimento che avvantaggia la destra e apre vuoti nelle file dei tradizionali elettori progressisti”.
Personalmente aggiungo che a far questo contribuiscano tre fattori: l’attuale dibattito politico che usa l’arena televisiva e mediatica come luogo di propaganda e di scontro politico; l’emergere del territorio come protagonista dei bisogni e delle paure degli elettori e l’uso del populismo come nuova arma politica per conquistare i voti di persone e gruppi sociali tra loro eterogenei, privi di rappresentanza e di una forte identità.
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Partiamo dai media. In Italia i giornali più letti sono “Il Corriere dello Sport” e “La gazzetta dello Sport”. Solo alla fine, e con pochissime copie vendute rispetto agli altri paesi europei, abbiamo quotidiani come “Repubblica” o “Il Corriere della Sera”. Inoltre , ai giornali di tiratura nazionale sono anche scelte testate di tiratura regionale come “Il Messaggero” al centro, “La Stampa” al nord-ovest; “Il Gazzettino” al nord-est; “Il Giornale di Sicilia” in Sicilia; “Il Mattino” a sud e via dicendo.
Un paese che legge più il “
Corriere dello Sport” che il “
Corriere della sera” vuol dire che è più interessato al calcio che alla politica, e che quando segue la politica lo fa con lo stesso metodo con cui segue il “pallone”, ovvero: tifo da stadio, appartenenza alla curva,
sbeffeggiamento dell’avversario,
slogan ripetuti, che fanno leva sulla “tribù” . Lo si è visto non soltanto nelle discussioni nelle strade, nei bar, nelle piazze ma soprattutto in quella che è la piazza principale dove la politica oggi si espone , ovvero la piazza televisiva.
La grande agorà mediatica che per sua essenza, lo faceva notare il grande studioso della comunicazione McLuhan, esalta non la discussione razionale, la sobrietà, il pensiero lineare, argomentato e dialettico bensì il pathos, l’emotività, le pulsioni più profonde, le paure e gli istinti più selvaggi. Nei tanti dibattiti che ci sono stati, hanno avuto più successo quelli nei quali sembrava di assistere ad un incontro di pugilato invece che a un dibattito politico; con i politici di turno pronti più a sferrare “pugni” all’avversario con frasi ad effetto che puntavano all’emotività del pubblico che ad argomentare ragionevolmente i problemi e le soluzioni da proporre; e il pubblico era desideroso (da casa e nello studio) più di applaudire, fischiare , dileggiare e richiamare o dare del cornuto all’arbitro (Mentana, Vespa o Floris) che ad ascoltare ed a riflettere. Che differenza con le tribune politiche degli anni settanta dove pur in presenza, veramente, di grandi divisioni politiche e sociali il rappresentante del Partito Comunista, quello della Democrazia Cristiana o quello del Movimento Sociale con la loro sobrietà e compostezza sembrano evidenziare un paese molto più unito di quello attuale che si divide in tifoserie. La cosa che più colpiva oggi era che ci si organizzava nelle case per vedere i “duelli” (già il nome la dice lunga) con lo stesso spirito con cui ci si organizzava per vedere un
derby calcistico.
La TV, Internet, i cellulari e i nuovi media esaltano il lato destro del nostro cervello, quello legato alle emozioni, all’istinto, all’emotività e questo si è tradotto nel dibattito politico. La “rimonta” di Berlusconi si è manifestata quando ha cominciato a far ricorso non più all’argomentazione razionale su quello che aveva fatto il governo con dati e numeri (strategia perdente) bensì ha cominciato a fare presa all’emotività (lo show a Confindustria), del ricorso alla paura (delle tasse, dei comunisti, degli immigrati), all’insulto (chi non ci vota è un coglione), che pur se hanno creato scandalo e indignazione nella grande stampa e tra le persone di centro-sinistra hanno ricompattato le file di una galassia di elettori, tra loro eterogenei , frammentati e tendenti all’astensione, in un leader in cui riconoscersi e in cui ritrovarsi.
La capacità è stata quella di dare a queste persone (piccoli imprenditori, proprietari, risparmiatori, artigiani, nuclei familiari) un momento di “aggregazione” e di appartenenza che manca in altre realtà di gruppi sociali più rappresentati da sindacati, organizzazioni di datori di lavoro, cooperative ecc…
Anche il secondo dato non è da sottovalutare. L’interesse alle testate regionali. Questo è indicatore di interesse al territorio. Se una persona preferisce comprarsi il “Gazzettino” o “Il Mattino” e il “Giornale di Sicilia” invece che “La Repubblica” o “Il Corriere della Sera” vuol dire che è molto attenta non solo alle grandi questioni della politica nazionale o internazionale bensì anche alle questioni che riguardano il proprio territorio. Ora non voglio dire che tutti quelli che hanno votato per Berlusconi leggono quotidiani regionali anziché nazionali bensì che l’interesse verso il territorio e l’attenzione ai suoi bisogni, alle sue vocazioni e alle sue paure costituisce oggi una variabile importante nella politica. Il fatto che al Nord (nelle regioni più produttive come il Piemonte, la Lombardia, Friuli Venezia Giulia o il Veneto) gli elettori abbiano votato in maggioranza verso il centro-destra è indicatore di come in queste regioni ed in questi nei territori, più colpiti dai cambiamenti che la globalizzazione porta, i gruppi sociali e le persone che vi vivono temono : la de-localizzazione e la dismissione delle fabbriche, l’immigrazione, la concorrenza dei paesi orientali come Cina e India; i mutamenti demografici, ecc… Ed a questi timori è più facile rispondere con la retorica che con la ragionevolezza.
Il leader socialista francese Hollande afferma: “al giorno d’oggi per la sinistra è più difficile vincere, perché è obbligata ad essere ragionevole, credibile, realista, mentre la destra ne è dispensata. La destra non si preoccupa del tempo per lei conta l’immediatezza” e ancora “oggi in una società impermediatica, dove domina la paura per tutto quel che riguarda l’apertura internazionale e perfino l’Europa, è facile per un populista promettere l’impossibile.”
Se il centro-sinistra con persone legate al territorio come Illy , Renato Soru , Massimo Cacciari o Walter Veltroni riscuote molto più successo di quando presenta anonimi candidati in partiti tradizionali, vuol dire che è la variabile territorio a fare oggi la differenza più di qualsiasi variabile ideologica e partitica.
A questa mancanza di attenzione la nuova destra si rivolge con il populismo.
Il populismo nasce come “arma” politica che un leader o un capo carismatico usa per legittimare il proprio potere assecondando e amplificando con demagogia e retorica gli umori del popolo, sfruttandone abilmente le paure, i desideri e i bisogni più nascosti. Storicamente è nato in Russia nell’ottocento, ma si è ritrovato più o meno in tutti i paesi: dagli Stati Uniti (People’s Party) al Sud America (Peròn); e oggi si appresta a diventare anche in Europa un metodo usato da leader che nelle società complesse attuali fanno dell’antipolitica, del mito dell’outsider e del qualunquismo il collante e la leva per unire gruppi sociali e persone più diverse ed eterogenee. L’Olanda di Pim Fortuyn ne era un esempio. Dove un dandy aristocratico, del tutto estraneo alla politica ,è diventato (fino a quando è stato tragicamente ucciso) il leader popolare di una neo-destra che univa per la prima volta ceti sociali e persone che tra loro mai si sarebbero ritrovate in un partito tradizionale conservatore.
E’ la stessa cosa che Berlusconi, da nuovo Masaniello mediatico, ha fatto in Italia
. Il suo raccontare le barzellette, il suo linguaggio da uomo comune, il suo parlare della mamma, le sue metafore sportive, le pacche sulle spalle, le corna, i kapò, le suonate con Apicella e soprattutto i suoi attacchi ai fantomatici “poteri forti” lo rendono molto più vicino e simpatico all’uomo comune più di qualsiasi altro politico che parla un linguaggio complicato e incomprensibile. Berlusconi è riuscito a fare di sé un
icona pop come Marilyn Monroe o Elvis Presley come Marlon Brando o James Dean, perché come questi ultimi è riuscito a suscitare emozioni e voglia di emulazione. Ed è riuscito , agitando prima
sogni (un nuovo miracolo italiano o meno tasse per tutti) e poi paure ( clandestini a volontà, più tasse sulle famiglie; i comunisti che bollono i bambini) a raccogliere attorno a sé un coro di
supporter spaventati dalle nuove sfide e dai nuovi problemi che i cambiamenti globali stanno portando.
Luca Ricolfi ci dice in un suo libro famoso (“Perché siamo antipatici ?”) che la sinistra in Italia non guadagna consenso perché è antipatica. Il suo senso di superiorità culturale, morale, politica, il suo credersi la parte migliore, più onesta e più intelligente del paese la rende all’uomo comune antipatica. Attenzione. Il richiamo, come si è sempre fatto, delle uscite di Berlusconi no politically correct se da una parte deve mantenere ferma la condanna a comportamenti che mal si addicono a statisti e capi di governo non possono trasformarsi in condanna e denigrazione verso chi non si sente scandalizzato da tali atteggiamenti e al massimo si fa una risata. Dietro il consenso silenzioso verso questi comportamenti si nasconde un senso di insoddisfazione e di frustrazione verso la politica e le sue questioni irrisolte che non andrebbe sottovalutato, nè tantomeno irriso. Il fatto che una parte di italiani non abbia detto ai sondaggi e nè tantomeno agli exit-pool la verità vuol dire che: o si vergogna di dirsi di destra o non dà alcuna importanza ai sondaggi. Questo è indicatore di una condanna morale che una certa sinistra dà a chi non la pensa come lei e che porta al nascondimento di potenziali avversari che prima danno l’illusione che la stragrande maggioranza degli italiani la pensi come loro salvo poi prendersi una piccola rivincita nell’urna. “Dio ti vede Stalin no” era lo slogan della Democrazia Cristiana per far “leva” sulla vergogna che le persone democristiane potevano provare nel dopoguerra a votare non comunista o non socialista in certi ambienti. E, sempre tornando alla metafora calcistica, dirsi “berlusconiani” è diventato un po’ come dirsi Juventini. Tutti se ne vergognano, tutti ne parlano male ma poi , scava, scava, tutti tifano Juve. Blair, Zapatero o Clinton invece, ( o Veltroni, Soru e Illy per rimanere a “casa nostra”) sono popolari proprio perché hanno la capacità di parlare a persone e gruppi sociali che non necessariamente sono di sinistra o democratici o appartengono alla propria area politica.
Per concludere vorrei esporre una considerazione che un altro grande decano della sociologia Italiana, Gianni Statera, fece più di dieci anni fa e che è più che mai attuale: “ Berlusconi si ama e desidera essere amato; punta a sedurre, non a piegare, a conquistare le anime e i cuori non a comprarli.(…) Insomma la seduttività del Cavaliere non è per tutti e tale non può e non deve essere. E la grande stampa d’informazione, che si rivolge ad un pubblico diverso da quello cui si rivolgono, ad esempio i grandi rotocalchi per famiglie, è comprensibilmente immune dal fascino di Berlusconi(…) quella gente comune che non legge né il Corriere né Repubblica, che non sta troppo a cavillare su sofisticherie intellettuali, che in Berlusconi si identifica proprio quando fa battute che ad altre orecchie sembrano smielate, ingenue, perbeniste. Insomma l’Italia profonda è una realtà che può non piacere, ma che è maggioritaria da decenni; è un’ Italia che compra alla Standa e legge TV Sorrisi e Canzoni, si nutre di Beautiful e di Funari, ma anche de “Il Gioco delle coppie” e di “C’eravamo tanto amati, tiene alla famiglia, tifa il Milan o la Lazio, si preoccupa per l’avvenire dei propri figli, ma se si dovesse fare un nuovo referendum non voterebbe “sì” all’abrogazione della legge sull’aborto. (…) Da ciò deriva un rischio serio di approfondimento della frattura tra i supportes Ambra-Berlusconi e quelli degli uomini in grigio, che comunicano attraverso pagine economiche e culturali dei grandi media a stampa. Il rischio, insomma, che si crei uno iato insuperabile fra l’intelligentsia progressista e la massa degli italiani.
E’ ovvio che Statera non intendeva dire che tutti i “berlusconiani” guardano Beautiful e gli antiberlusconiani “Quark” , bensì metteva in guardia dalla sottovalutazione che la grande stampa e i grandi giornali hanno fatto della capacità di Berlusconi di “forgiare” con le proprie televisioni una parte della comunità nazionale e di “programmare e ri-programmare anche politicamente l’opinione pubblica più orientata a destra , insomma ad aggregare e consolidare la sua base di consenso” (Giovanni Valentini). Non a caso il voto degli gli italiani all’estero, meno condizionati dal bombardamento del nuovo Masaniello mediatico, è andato contro ogni previsione a favore del centro-sinistra.
Con questo ho concluso sperando di aver riassunto in queste “categorie” nuovi spunti di dibattito e di riflessione in tutti i lettori.
Alessandro Caramis
Bibliografia e testi consigliati:
Ferrarotti: “La perfezione del nulla”; Saggi tascabili Laterza;
Gianni Statera: “Il volto seduttivo del potere” ; Edizioni Seam;
Luca Ricolfi: “Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori”; Longanesi.
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Nasce a Roma il 16 Novembre del 1977. Si è lauerato in Sociologia nel 2001 con una tesi sul lancio editoriale di J.R.R. Tolkien in Italia grazie alla quale ha fatto da consulente alla Bompiani RCS. E’ amante della musica jazz e blues, del buon cinema europeo ed americano e dei viaggi. Si dichiara bibliofilo e ama tenersi costantemente informato sui fatti del mondo e della società. Cura una personale raccolta di articoli di carta stampata dal 1999. Attualmente vive ai Castelli Romani e collabora come assistente alla Facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma.
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