I gipponi in doppia fila sono il segno più evidente della decadenza morale della nostra civiltà… Sappiamo tutti chi c’era a Sodoma e perché Dio li sterminò… a Gomorra c’erano i proprietari di gipponi ubriachi di aperitivo del venerdì sera.
L U C I , O M B R E , P A R A D O S S I E C I N I S M O
S O T T O L E D U E T O R R I
di Donatella Placidi
I racconti sono ambientati a Bologna, e, per una bolognese come me, è piuttosto singolare leggere di luoghi, di atmosfere e di situazioni descritti con tanta efficacia da Carmine Caputo, che è pugliese. Di Bologna si riconoscono le luci e le ombre, le numerose contraddizioni, certi spaccati di vita ormai sempre più diffusi, e frammenti di un passato ricco di storia e di fascino, ignorato dai più.
I racconti sono cinque e tutti scritti in prima persona: un mite e pavido commercialista che si trova a sventare un rapimento; un pensionato che si muove perplesso tra centri commerciali e detersivi al mirtillo. Un amore platonico e delicato non ricambiato per una compagna di liceo; una laureata in filosofia che lavora di notte in un call center; uno scrittore squattrinato in piena crisi creativa, coinvolto in un traffico di droga.
La scrittura di Caputo si contraddistingue per il ritmo veloce, per l’ironia e per la capacità di descrivere i paradossi che riconosciamo far parte della nostra quotidianità. Caratteristiche già evidenziate in “Bello dentro fuori meno”, il primo romanzo da lui pubblicato; anche se forse “Bologna l’oscura” non ha le stesse trovate comiche e la stessa leggerezza, anzi, dopo aver letto il libro, rimane sul palato un retrogusto un po’ amaro, frutto forse dell’amore disilluso verso una città in cui comincia ad essere tangibile il degrado che l’avvolge e che l’opprime.
Personalmente preferisco questa seconda pubblicazione, per l’eterogeneità dei racconti e delle tematiche affrontate, per una certa nostalgia venata di cinismo che a tratti emerge, e per l’abilità dell’autore nel descrivere situazioni di routine quotidiana senza rinunciare alla sua consueta, graffiante ironia.
I gipponi in doppia fila sono il segno più evidente della decadenza morale della nostra civiltà… Sappiamo tutti chi c’era a Sodoma e perché Dio li sterminò… a Gomorra c’erano i proprietari di gipponi ubriachi di aperitivo del venerdì sera.
L U C I , O M B R E , P A R A D O S S I E C I N I S M O
S O T T O L E D U E T O R R I
di Donatella Placidi
I racconti sono ambientati a Bologna, e, per una bolognese come me, è piuttosto singolare leggere di luoghi, di atmosfere e di situazioni descritti con tanta efficacia da Carmine Caputo, che è pugliese. Di Bologna si riconoscono le luci e le ombre, le numerose contraddizioni, certi spaccati di vita ormai sempre più diffusi, e frammenti di un passato ricco di storia e di fascino, ignorato dai più.
I racconti sono cinque e tutti scritti in prima persona: un mite e pavido commercialista che si trova a sventare un rapimento; un pensionato che si muove perplesso tra centri commerciali e detersivi al mirtillo. Un amore platonico e delicato non ricambiato per una compagna di liceo; una laureata in filosofia che lavora di notte in un call center; uno scrittore squattrinato in piena crisi creativa, coinvolto in un traffico di droga.
La scrittura di Caputo si contraddistingue per il ritmo veloce, per l’ironia e per la capacità di descrivere i paradossi che riconosciamo far parte della nostra quotidianità. Caratteristiche già evidenziate in “Bello dentro fuori meno”, il primo romanzo da lui pubblicato; anche se forse “Bologna l’oscura” non ha le stesse trovate comiche e la stessa leggerezza, anzi, dopo aver letto il libro, rimane sul palato un retrogusto un po’ amaro, frutto forse dell’amore disilluso verso una città in cui comincia ad essere tangibile il degrado che l’avvolge e che l’opprime.
Personalmente preferisco questa seconda pubblicazione, per l’eterogeneità dei racconti e delle tematiche affrontate, per una certa nostalgia venata di cinismo che a tratti emerge, e per l’abilità dell’autore nel descrivere situazioni di routine quotidiana senza rinunciare alla sua consueta, graffiante ironia.
La descrizione dei “gipponi” in doppia fila fatta dal protagonista di
“Effetti collaterali”, un pensionato che va a trovare la figlia, studentessa universitaria a Bologna, è, a mio avviso, un esempio particolarmente riuscito della scrittura di
Carmine Caputo.
“ I gipponi in doppia fila sono il segno più evidente della decadenza morale della nostra civiltà.
Mentre ogni giorno guerre sanguinose mietono vittime in nome della democrazia e della libertà di importare tutto il petrolio che ci pare, ci sono individui che vanno impunemente in giro con questi abnormi agglomerati d’acciaio che bruciano un litro di benzina per fare tre chilometri. (…)
(…) Sappiamo tutti chi c’era a Sodoma e perché Dio li sterminò: ebbene, vi dico, a Gomorra c’erano i proprietari di gipponi ubriachi di aperitivo del venerdì sera. Deve essere andata così, e se non c’erano loro, perché il permesso tecnologico non lo permetteva, c’erano i loro progenitori. Che so, gente che per fare un sacrificio rituale scannava una mandria, gente che per riscaldarsi la sera dava fuoco ad un bosco, gente esagerata, prepotente, esibizionista, gente che per andare al tempio prendeva una carrozza trainata da sei elefanti. (…) ”
NonSoloParole Edizioni 2007
Codice ISBN 978-88-88850-60-3
Euro 12