SPAZI DEL NOSTRO TEMPO
G I A N C A R L O M O N T E B E L L O
Vorrei scrivere di un incontro recente che già ricordo e che vorrei raccontare.
Era un nuvoloso pomeriggio milanese e mi trovavo in un’aula in cui stavo frequentando un corso di specializzazione sul design del gioiello. Stavo seduta in fondo all’ultimo banco, postazione strategica “dai tempi del liceo” che, in alcuni momenti, mi permetteva inosservata qualche divagazione mentale…
Mentre ridacchiavo con il collega appostato accanto a me è incominciata la lezione.
Silenzio… curiosa ho iniziato a focalizzare l’immagine di un uomo seduto, con una gamba accavallata sull’altra, che ha iniziato a parlare con gli occhi socchiusi e la voce persuasiva: era GianCarlo Montebello.
Nel gioiello, però, si aggiunge un’altra componente fondamentale: la relazione dell’oggetto con il corpo e la sua capacità di sedurre ossia di condurre a sé. Per fare ciò è necessario riuscire a trasferire la bellezza di un concetto in una fisicità legata a gesti e funzioni. Una cosa assolutamente difficile se, soffermandoci a riflettere, intendiamo il corpo come uno dei maggiori misteri in grado di comunicare anche nel silenzio e il gioiello come un elemento estetico che non dimentichi le sue funzioni antropologiche. In tal senso se il substrato culturale e umano di chi progetta è di spessore ciò che ne deriva non può essere che molto soddisfacente.
Forse uno degli scopi della didattica dovrebbe essere quello di riuscire a comunicare agli studenti l’amore verso una disciplina o una professione continuando, quando se ne ha voglia, anche fuori dalle aule universitarie (credo poco al concetto di “mancanza di tempo” perché ognuno si crea la libertà di impiegarlo come vuole…). Così l’entusiasmo mio e di altri quattro colleghi è aumentato non appena abbiamo appreso che il Maestro Montebello aveva accolto la nostra richiesta di un incontro presso il suo studio a Milano.
G I A N C A R L O M O N T E B E L L O
Vorrei scrivere di un incontro recente che già ricordo e che vorrei raccontare.
Era un nuvoloso pomeriggio milanese e mi trovavo in un’aula in cui stavo frequentando un corso di specializzazione sul design del gioiello. Stavo seduta in fondo all’ultimo banco, postazione strategica “dai tempi del liceo” che, in alcuni momenti, mi permetteva inosservata qualche divagazione mentale…
Mentre ridacchiavo con il collega appostato accanto a me è incominciata la lezione.
Silenzio… curiosa ho iniziato a focalizzare l’immagine di un uomo seduto, con una gamba accavallata sull’altra, che ha iniziato a parlare con gli occhi socchiusi e la voce persuasiva: era GianCarlo Montebello.
Nel gioiello, però, si aggiunge un’altra componente fondamentale: la relazione dell’oggetto con il corpo e la sua capacità di sedurre ossia di condurre a sé. Per fare ciò è necessario riuscire a trasferire la bellezza di un concetto in una fisicità legata a gesti e funzioni. Una cosa assolutamente difficile se, soffermandoci a riflettere, intendiamo il corpo come uno dei maggiori misteri in grado di comunicare anche nel silenzio e il gioiello come un elemento estetico che non dimentichi le sue funzioni antropologiche. In tal senso se il substrato culturale e umano di chi progetta è di spessore ciò che ne deriva non può essere che molto soddisfacente.
Forse uno degli scopi della didattica dovrebbe essere quello di riuscire a comunicare agli studenti l’amore verso una disciplina o una professione continuando, quando se ne ha voglia, anche fuori dalle aule universitarie (credo poco al concetto di “mancanza di tempo” perché ognuno si crea la libertà di impiegarlo come vuole…). Così l’entusiasmo mio e di altri quattro colleghi è aumentato non appena abbiamo appreso che il Maestro Montebello aveva accolto la nostra richiesta di un incontro presso il suo studio a Milano.
Non è un caso che negli atelier dei “Grandi” ci sia un unico comune denominatore: scaffali pieni di libri, oggetti che raccontino di sé ossia dei viaggi perpetuati nel tempo, modelli, schizzi, qualche promemoria sparso nei vari angoli e infine i propri progetti. Lo spazio a doppia altezza era ben articolato, la luce proveniva dall’alto e la nostra conversazione aveva luogo come se si parlasse tra “amici”.
Accantonati i timori iniziali, a ogni nostra domanda sul “futuro” e sui “perché” seguiva una risposta “etica” ma “pratica”; allo stesso tempo il Maestro ci trasferiva parte della sua “quotidianità”: accennava un sorriso, rispondeva al telefono in perfetta lingua francese, rullava velocemente una cartina per accendersi una sigaretta…
Una vita curiosa la sua, segnata da cambiamenti, da innumerevoli incontri e collaborazioni: il primo lavoro con Gavina e Simoncini; la frequenza con gli architetti Carlo Scarpa, Achille e Pier Giacomo Castiglioni; l’avvio di attività di editore di gioielli d’artista (la GEM, che raccolse i lavori di Hans Ritcher, Larry Rivers; Niki de Saint Phalle, Jesus Soto , Lucio Fontana ed altri…); l’affiancamento del celebre Ugo Mulas; gli insegnamenti di Man Ray di cui fu discepolo; la cessazione della iniziale attività di editore per diventare designer delle proprie creazioni collaborando con aziende nazionali ed estere; i diversi viaggi negli Stati Uniti, in particolare a New York; la collaborazione con la Sociètè des Amis du Musèe National d’Art moderne Centre d’Art et Culture George Pompidou…
Poi lo sguardo è caduto sui monili esposti in una teca di vetro illuminata: sembravano dei racconti in grado di mutare il corpo. I materiali variavano dai preziosi ai non, ma tutti erano trattati con la stessa cura e importanza mentre, potendone indossare alcuni, mi rendevo sempre più conto che avanzava un altro importante concetto: “la continuità” che avevo potuto già notare in alcune precedenti ricerche.
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Maria Stella Ivana Riggi (Maggio 1972), architetto vive e lavora in Sicilia precisamente a Caltanissetta dove attualmente risiede.
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