BIENNALE DI VENEZIA
Alle Corderie dell’Arsenale la mostra apre con Hall of Fragments di David Rockwell con Casey Jones e Reed Kroloff. Una sala buia dove schermi di varie dimensioni proiettano una selezione di film del passato, fantascientifici e storici; film che ricreano architetture di tempi lontani o propongono le forme di quella futura (ormai attuale), con l’idea di trovare scene in cui il percettivo e l’immaginazione superano il fisico e il reale.
Dopo Hall of Fragments inizia il percorso tra le grandi Installazioni, accompagnate dai Manifesti d’intento proposti dagli stessi architetti.
Molte delle installazioni esposte invitano il visitatore ad interagire con l’opera stessa e diventare così parte fondamentale del suo completamento. Il fruitore dell’opera da spettatore diventa protagonista. Tra le opere di questo tipo, la più gettonata, tanto da generare una fila di curiosi in attesa per sperimentarne l’utilizzo, è Feed Back Spaces; il grande cervello di Coop Himmelb(l)au. Il visitatore è invitato a porsi sotto il cervello gonfiabile e ad afferrare le apposite maniglie, per poter vedere la proiezione della propria frequenza cardiaca su dei monitor posti all’interno della struttura (cervello) trasparente, permettendone la diffusione nell’ambiente circostante.
Alle installazioni “interattive” si affiancano invece quelle che permettono al pubblico solo di poter ammirare le proprie forme e contemplarne il messaggio. Tra queste al prima è sicuramente Lotus, di Zaha Hadid e Patrik Schumacher; forme sinuose che s’intersecano, che danno vita ad un’ installazione e al tempo stesso anche ad un prototipo di casa. Tra le sue forme infatti si celano gli spazi che caratterizzano l’ambiente domestico: una scrivania, un divano, un tavolo, un guardaroba, ecc.
Atra opera a non richiedere il coinvolgimento fisico del pubblico, se non quello degli addetti ai lavori, intenti ad ultimarne la realizzazione (ormai già fuori tempo massimo), è Ungapatchket (che in lingua Yddish significa “buttato insieme”), l’ installazione proposta da Frank Gehry. E’ un modello in grande scala fatto di legno e creta, attraverso il quale l’architetto (Leone d’oro alla carriera) esplora lo spazio e la forma. L’ opera, ispirata ad una costruzione che Gehry realizzerà a Mosca, propone un’ architettura che esiste prima e dopo gli edifici. Una delle ultime opere essere stata aggiunta alla lista delle installazioni dell’ Arsenale, ma forse una delle più attese, è The Evening Line di Matthew Ritchie, il quale propone a Venezia un’ elaborazione sulla linea intesa come inizio di uno studio destinato a crescere. Infatti, la sua opera parte da un intreccio di linee che formano una grande scultura per poi proseguire il proprio percorso sul pavimento fino a risalire la parete dove la linea e il suo evolversi vengono proiettati in un video.
Proseguendo il nostro percorso per le sale delle Corderie, è possibile ammirare installazioni che ci portano oltre il classico concetto di abitazione legato ancora alla costruzione, per analizzare tutto quello che è al suo interno, ma non è visibile. Ci offrono una riflessione sul fatto che le nostre case non sono fatte solo di pareti, soffitti e pavimenti, ma di tutti quei sistemi tecnologici che ci forniscono acqua, luce e gas; qui portati all’esterno e resi visibili. Questo è il lavoro di Penezic & Rogina Architects: Who’s Afraid of the Big Bad Wolf in the Digital age?.
Alle Corderie dell’Arsenale la mostra apre con Hall of Fragments di David Rockwell con Casey Jones e Reed Kroloff. Una sala buia dove schermi di varie dimensioni proiettano una selezione di film del passato, fantascientifici e storici; film che ricreano architetture di tempi lontani o propongono le forme di quella futura (ormai attuale), con l’idea di trovare scene in cui il percettivo e l’immaginazione superano il fisico e il reale.
Dopo Hall of Fragments inizia il percorso tra le grandi Installazioni, accompagnate dai Manifesti d’intento proposti dagli stessi architetti.
Molte delle installazioni esposte invitano il visitatore ad interagire con l’opera stessa e diventare così parte fondamentale del suo completamento. Il fruitore dell’opera da spettatore diventa protagonista. Tra le opere di questo tipo, la più gettonata, tanto da generare una fila di curiosi in attesa per sperimentarne l’utilizzo, è Feed Back Spaces; il grande cervello di Coop Himmelb(l)au. Il visitatore è invitato a porsi sotto il cervello gonfiabile e ad afferrare le apposite maniglie, per poter vedere la proiezione della propria frequenza cardiaca su dei monitor posti all’interno della struttura (cervello) trasparente, permettendone la diffusione nell’ambiente circostante.
Alle installazioni “interattive” si affiancano invece quelle che permettono al pubblico solo di poter ammirare le proprie forme e contemplarne il messaggio. Tra queste al prima è sicuramente Lotus, di Zaha Hadid e Patrik Schumacher; forme sinuose che s’intersecano, che danno vita ad un’ installazione e al tempo stesso anche ad un prototipo di casa. Tra le sue forme infatti si celano gli spazi che caratterizzano l’ambiente domestico: una scrivania, un divano, un tavolo, un guardaroba, ecc.
Atra opera a non richiedere il coinvolgimento fisico del pubblico, se non quello degli addetti ai lavori, intenti ad ultimarne la realizzazione (ormai già fuori tempo massimo), è Ungapatchket (che in lingua Yddish significa “buttato insieme”), l’ installazione proposta da Frank Gehry. E’ un modello in grande scala fatto di legno e creta, attraverso il quale l’architetto (Leone d’oro alla carriera) esplora lo spazio e la forma. L’ opera, ispirata ad una costruzione che Gehry realizzerà a Mosca, propone un’ architettura che esiste prima e dopo gli edifici. Una delle ultime opere essere stata aggiunta alla lista delle installazioni dell’ Arsenale, ma forse una delle più attese, è The Evening Line di Matthew Ritchie, il quale propone a Venezia un’ elaborazione sulla linea intesa come inizio di uno studio destinato a crescere. Infatti, la sua opera parte da un intreccio di linee che formano una grande scultura per poi proseguire il proprio percorso sul pavimento fino a risalire la parete dove la linea e il suo evolversi vengono proiettati in un video.
Proseguendo il nostro percorso per le sale delle Corderie, è possibile ammirare installazioni che ci portano oltre il classico concetto di abitazione legato ancora alla costruzione, per analizzare tutto quello che è al suo interno, ma non è visibile. Ci offrono una riflessione sul fatto che le nostre case non sono fatte solo di pareti, soffitti e pavimenti, ma di tutti quei sistemi tecnologici che ci forniscono acqua, luce e gas; qui portati all’esterno e resi visibili. Questo è il lavoro di Penezic & Rogina Architects: Who’s Afraid of the Big Bad Wolf in the Digital age?.