AD ALBERT SERRA NON INTERESSA IL PUBBLICO
Ha 33 anni, un vistoso paio di occhiali anni 70, una fama costruita su un’originalità a prova di bomba in festival importanti da Cannes a Torino ed un carattere diciamo molto… personale. Arrogante, forse, menefreghista, può darsi, fatto sta che il regista catalano Albert Serra è totalmente indifferente a quello che pensa il pubblico. Reduce da Cannes, dove il suo El cant dels ocells è stato uno dei trionfatori della Quinzaine, poco gli importa se qui alla proiezione del 23° Festival Internazionale di Mar del Plata un po’ di spettatori se ne siano andati a metà del film.
E L C A N T D E L S O C E L L S
di Mariangiola Castrovilli
«Non conta chi se ne va, ma chi rimane. Il pubblico non mi interessa poi più che tanto», ha detto il regista all’incontro con la stampa che è rimasta per un attimo senza parole. Provocazione? Certo, visto che la maggior parte dei critici gli dà ragione soprattutto dopo suo esordio con Honor de Cavalleria, autentico colpo di fulmine di due anni orsono, passato prima a Cannes e poi al Torino Film Festival, dove ritornerà tra pochi giorni con El cand dels ocells.
Convinto assertore di un cinema iperpersonale, dove l’illuminazione artificiale è bandita, delle lunghissime scene senza dialogo e delle storie che rivede a modo suo El cant dels ocells è un altro adattamento particolare. Infatti, dopo aver spaccato a metà critica e pubblico profanando il Don Quixote nella sua precedente opera, qui Serra porta in scena nientemeno che i Re Magi e il loro viaggio alla ricerca della famosa grotta dove nacque il Messia. E per farlo usa la solita tecnica, quella di indagare su personaggi e mondi classici, con a portata di mano testi e miti della tradizione europea ed occidentale, per sviscerare l’anima dell’uomo. Naturalmente in maniera dissacrante e personale.
Uno specifico filmico il suo interessato solo ai particolari meno importanti dove il regista catalano sembra azzerare tutto per raccontare tutta un’altra storia, quella di tre Re con corona ma senza scorta che più che dalla Bibbia sembrano uscire da una canzone di De Andrè. Tre incredibili ciccioni che camminano in un paesaggio lunare, e qualche corso d’acqua qui e là per rendere l’orizzonte un po’ più vivo. Piccoli, quasi oppressi da questa natura che sembra voler tutto dominare, i nostri sembrano subire il fascino della sindrome di Stoccolma, preda di un lento e progressivo straniamento che trasforma il film in commedia grottesca ma così incredibilmente surreale da stupirti per la sua terribile forza…
segue … >>>
Ha 33 anni, un vistoso paio di occhiali anni 70, una fama costruita su un’originalità a prova di bomba in festival importanti da Cannes a Torino ed un carattere diciamo molto… personale. Arrogante, forse, menefreghista, può darsi, fatto sta che il regista catalano Albert Serra è totalmente indifferente a quello che pensa il pubblico. Reduce da Cannes, dove il suo El cant dels ocells è stato uno dei trionfatori della Quinzaine, poco gli importa se qui alla proiezione del 23° Festival Internazionale di Mar del Plata un po’ di spettatori se ne siano andati a metà del film.
E L C A N T D E L S O C E L L S
di Mariangiola Castrovilli
«Non conta chi se ne va, ma chi rimane. Il pubblico non mi interessa poi più che tanto», ha detto il regista all’incontro con la stampa che è rimasta per un attimo senza parole. Provocazione? Certo, visto che la maggior parte dei critici gli dà ragione soprattutto dopo suo esordio con Honor de Cavalleria, autentico colpo di fulmine di due anni orsono, passato prima a Cannes e poi al Torino Film Festival, dove ritornerà tra pochi giorni con El cand dels ocells.
Convinto assertore di un cinema iperpersonale, dove l’illuminazione artificiale è bandita, delle lunghissime scene senza dialogo e delle storie che rivede a modo suo El cant dels ocells è un altro adattamento particolare. Infatti, dopo aver spaccato a metà critica e pubblico profanando il Don Quixote nella sua precedente opera, qui Serra porta in scena nientemeno che i Re Magi e il loro viaggio alla ricerca della famosa grotta dove nacque il Messia. E per farlo usa la solita tecnica, quella di indagare su personaggi e mondi classici, con a portata di mano testi e miti della tradizione europea ed occidentale, per sviscerare l’anima dell’uomo. Naturalmente in maniera dissacrante e personale.
Uno specifico filmico il suo interessato solo ai particolari meno importanti dove il regista catalano sembra azzerare tutto per raccontare tutta un’altra storia, quella di tre Re con corona ma senza scorta che più che dalla Bibbia sembrano uscire da una canzone di De Andrè. Tre incredibili ciccioni che camminano in un paesaggio lunare, e qualche corso d’acqua qui e là per rendere l’orizzonte un po’ più vivo. Piccoli, quasi oppressi da questa natura che sembra voler tutto dominare, i nostri sembrano subire il fascino della sindrome di Stoccolma, preda di un lento e progressivo straniamento che trasforma il film in commedia grottesca ma così incredibilmente surreale da stupirti per la sua terribile forza…
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E allora gli perdoni le risposte provocatorie, come quando parlando degli attori dice ironicamente «che le scene sono quasi tutte improvvisate perchè è inutile dar loro delle direttive, visto che non sanno ripetere i dialoghi…» né ti stupisci quando aggiunge che ama più la letteratura del cinema a cui è arrivato invece attratto dal denaro. Dei registi dice senza mezzi termini di essersi reso conto che «la maggior parte di loro, soprattutto in Spagna sono tutti ‘stupidi’. Io non ho mai studiato cinema e Honor de Cavalleria l’ho fatto con denaro privato e gli attori che vedete qui, tutti del mio paese. Un paese piccolo, però siamo arrivati a Cannes, mentre gli altri spagnoli stavano cercando di entrare con film da 5 milioni di euro» e vai.
La battuta finale non se la risparmia «personalmente amo più la letteratura del cinema che però è più divertente. La letteratura è per gente più sveglia, per questo ci siamo dedicati al cinema, che è meno importante. Inoltre l’unica professione in cui dei dilettanti possono essere più bravi di chi ha studiato è proprio quella di attori e registi cinematografici».