Biennale di Venezia: 53. Esposizione Internazionale d’Arte

Biennale di Venezia: 53. Esposizione Internazionale d’Arte

Biennale di Venezia - 53. Esposizione Internazionale d’Arte Capire l’arte contemporanea non è facile. Ancora meno facile è accettarla senza cadere nei classici luoghi comuni che le girano intorno: “Ma questo potevo farlo anch’io” oppure “ Un bambino lo farebbe meglio”.
L’arte da sempre è il riflesso del tempo in cui essa vive. Un’opera ormai non può essere giudicata solo per le forme che la compongono, ma soprattutto per le idee che hanno portato l’artista a darle vita. Non abbiamo più bisogno di un’arte che ricalchi paesaggi o persone; oggi le opere devono farsi carico di divulgare, attraverso le più svariate forme, le idee e le problematiche della società e del tempo attuale.

(Claudia Domenicucci) – In Italia, a monitorare i movimenti nel panorama artistico mondiale, abbiamo l’Esposizione Internazionale d’Arte organizzata ogni due anni dalla Biennale di Venezia.
Nell’anno della sua istituzione (1895), la Biennale scelse proprio questa manifestazione per iniziare il suo lungo cammino di Istituzione Culturale, che nel corso degli anni si è arricchita di altre discipline, arrivando fino alle sei attuali.
Quest’anno l’Esposizione Internazionale d’Arte curata Daniel Birnbaum, è arrivata alla sua  53° edizione. Nel titolo che la presenta, “Fare Mondi”, si cela la volontà di costruire qualcosa insieme, qualcosa di condivisibile con le persone che popolano il nostro mondo. Inventare nuovi modi per creare visioni alternative del mondo stesso.Intorno a questa idea comune si articolano i lavori di oltre 90 artisti, di 77 partecipazioni nazionali e ben 44 eventi collaterali; tutti dislocati nelle classiche sedi ai Giardini e all’Arsenale e negli altri siti sparsi per la città.

La struttura che l’Esposizione d’Arte segue oggi è quella a padiglioni, la stessa che da sempre caratterizza la manifestazione veneziana e che ogni edizione si arricchisce di nuove partecipazioni. Da sottolineare per la prima volta in questa edizione dell’evento la coesistenza di Stati Uniti, Iran e Israele. 
Partendo da questa collaudata formula di base, si cerca sempre di migliorarla e adeguarla alle esigenze del momento. Quest’anno, infatti, è facile percepire dei chiari segni di rinnovamento e propensione verso il futuro. Abbiamo appena parlato della voglia di integrazione fra le nazioni partecipanti, ma i segni più visibili sono quelli legati alla “nostra” arte contemporanea. Lo storico “Padiglione Italia” ai Giardini, da quest’anno è diventato sede permanente e ha preso il nome di “Palazzo delle Esposizioni della Biennale”. La storica scritta “Italia”, che da sempre regnava sulla facciata dell’ormai ex padiglione, è stata tolta e spostata vicino al Giardino delle Vergini all’Arsenale, dove il vecchio Padiglione Italiano ha ampliato il proprio spazio e preso il nome di “Padiglione Italia”. In questo nuovo ambiente creato per l’arte nazionale è stata allestita “Collaudi”, un omaggio che i venti artisti italiani partecipanti dedicano, ad un secolo dalla sua nascita, al movimento italiano più importante del 900: il Futurismo.
Infine, per completare l’esposizione permanente, adiacente al Palazzo della Biennale, è stato riaperto dopo dieci anni di chiusura, l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC): la biblioteca storica della Biennale.

Questo è solo una piccola parte di quello che Venezia offrirà ai molti turisti e soprattutto agli amanti dell’arte contemporanea fino al prossimo 22 novembre.

Dopo un anno dalla mia prima esperienza alla Biennale di Architettura, ho ripercorso quegli stessi passi per regalarvi un nuovo viaggio virtuale tra luoghi ed emozioni ormai familiari, ma mai scontati.
Impossibile fare un elenco delle opere esposte, sono veramente molte, come molti sono anche i temi trattati, che però volgono tutti verso un fine comune: fare mondi. Si parte dalla ricerca della propria identità e appartenenza sociale, affrontata da molti artisti, fino alle soluzioni proposte per porre fine alla crisi ecologica ed economica che stiamo vivendo; dalla creazione di nuovi oggetti e nuovi modi di abitare, al continuo, e forse spesso abusato, gioco tra luogo e contesto; dalla politica alle denunce sociali. Insomma, questa 53°.

Esposizione Internazionale d’Arte ha tutti i presupposti per essere “una bella illustrazione realizzata a più mani” di quello che oggi è il mondo in cui viviamo.

La mia visita ha avuto inizio alle Corderie dell’Arsenale, dove sono stata subito accolta da un gioco di intrecci e incontri di fili dorati che spiccano nel buio della prima sala; un elegante gioco di tridimensionalità. Questa è Ttéia1 C, l’opera per la quale l’artista brasiliana Lygia Pape ha ricevuto la Menzione Speciale “Rifare Mondi”.
Subito dopo sono passata dal buio alle immagini riflesse negli specchi che compongono l’opera presentata da Michelangelo Pistoletto, uno dei nomi più autorevoli presenti a questa edizione dell’Esposizione. Lo specchio è da sempre usato da Pistoletto come mezzo indagatore della propria interiorità.
Nella sala successiva, un’ opera secondo me degna di nota, è “Venezia” di Aleksandra Mir, che ci offre uno splendido esempio di come l’arte possa, e debba,  uscire fuori dal proprio spazio espositivo. L’opera è composta da tre scatole contenenti delle cartoline raffiguranti luoghi del mondo caratterizzati dalla presenza dell’acqua; sulle immagini una sola scritta: Venezia. Le cartoline possono essere prese e spedite in ogni parte del mondo.
Procedendo per le sale delle Corderie è difficile non notare due opere di valore sociale, come il  commento alla politica e all’economia ”tessuto” tra le maglie dell’ imponente arazzo di Goshka Macuga; mentre “The Greater G8 Advertising Market Stand” di Anawana Haloba, tratta i temi del G8, degli aiuti umanitari al terzo mondo e del libero mercato.
Uno degli artisti italiani invitati alla manifestazione direttamente da Birnbaum è Sara Ramo che ci presenta uno studio sulla vulnerabilità, l’ambiguità e la frenesia che caratterizzano il nostro tempo. L’opera è composta da due schermi affiancati che proiettano angoli e sezioni di un edificio del Giardino delle Vergini. Immagini deserte e solitarie che mutano lentamente; ogni tanto qualche elemento entra in scena vagando tra uno schermo e l’altro per poi riuscire.
Dopo avere visitato “Collaudi” nel Padiglione Italia, il percorso alle Corderie giunge al termine. Uscendo direttamente nel Giardino delle Vergini incontriamo l’unico evento collaterale ad essere allestito all’Arsenale: l’Omaggio a Pietro Cascella. Dopo un anno dalla scomparsa del famoso scultore, la Biennale ha deciso di ricordarlo con una mostra dei suoi lavori più importanti, che essendo tutti di grandissime dimensioni possono essere presenti solo come gigantografie.
Usciti dall’Arsenale seguiamo il percorso della Biennale spostandoci da questa suggestiva sede a quella più storica dei Giardini. Inutile dire che la prima cosa a colpire, soprattutto chi ha un po’ di familiarità con questi ambienti, è la nuova veste di quello che per anni è stato il Padiglione Italia. La facciata sembra essere stata inglobata in un paesaggio marino; difficile distinguere la struttura dell’edificio dall’immagine che lo ricopre. L’opera è dell’artista John Baldessari, vincitore di uno dei due Leoni d’Oro alla Carriera assegnati per questa edizione dell’Esposizione d’Arte dal consiglio di amministrazione della Biennale. L’altro Leone d’Oro alla Carriera è stato attribuito a Yoko Ono, figura fondamentale per il diffondersi dell’arte del dopoguerra. Inoltre, in questa straordinaria veste dell’edificio, anche se provvisoria, non passa di certo inosservata la nuova scritta posta sopra l’entrata: “La Biennale”. Un segno della nuova vita di questo storico edificio.

Una volta dentro, la prima opera che mi attira per ampiezza e complessità delle forme, è quella di Tomas Saraceno. L’artista presenta la riproduzione di un enorme ragnatela tessuta da una vedova nera, con la quale analizza la capacità dei filamenti che la compongono di reggere pesi enormi grazie alla sua complessa struttura. 
Dopo due sale, arrivando nei pressi del Giardino Scarpa (un piccolo ambiente esterno),  una strana melodia attira la mia attenzione, e solo dopo aver letto una targhetta all’entrata del giardino ho capito che si trattava dell’opera di Roberto Cuochi. L’artista italiano per la Biennale propone la propria versione di una canzone popolare di Shangai. Inventa un nuovo linguaggio accompagnato da una melodia creata con strumenti reciclati. L’opera è Mei Gui, per la quale Cuoghi ha ricevuto, direi con merito, la Menzione speciale “Tradurre Mondi”.
Andando avanti è difficile non fermarsi ad osservare le singolari installazioni site-specific di Georges Adéagbo che ritroviamo in più sale del Palazzo delle Esposizioni. Le uniche opere che non è possibile fotografare. L’artista allestisce in modo articolato degli oggetti, la maggior parte con valenza politica e sociale, creando relazioni tra situazioni e contesti diversi. Dei veri e propri “collage” che fotografano la nostra società.
Un’ opera complessa che invece studia il singolo individuo all’interno della società è quella di Nathalie Djurberg, Leone d’Argento per il più promettente giovane artista della Mostra “Fare Mondi”. Experimentet (questo il titolo dell’opera presentata) è un insieme di più espressioni, video e installazioni, che pongono l’attenzione sulla complessità delle emozioni umane.
Divertente, quasi “una caccia all’intruso”, può essere definita l’opera di Andrè Cadere, Barres de Bois round. Forse è più corretto dire “le” opere. Infatti l’artista (defunto nel 1978) realizzava più versioni dello stesso soggetto (una lunga barra composta da tanti cilindri colorati), diversi per dimensioni e colori, e li posizionava in ambienti pubblici e nelle esposizioni di altri artisti. La sua partecipazione alla Biennale d’Arte 2009 ha seguito lo stesso criterio.
L’esposizione nel Palazzo della Biennale termina con un’ opera difficilmente definibile come tale, almeno alla prima impressione. Stiamo parlando di ” Was du liebst, bringt dich auch zum Weinen”, realizzata da Tobias Rehberger vincitore del Leone d’Oro per il miglior artista della Mostra “Fare Mondi”. Egli sfida le normali regole espositive allestendo ai Giardini una vera e propria caffetteria dove le persone possono sedersi, riposarsi, mangiare e confondersi tra i motivi che la decorano.
Dopo essersi rifocillati nel punto di ristoro ideato da Rehberger non resta altro da fare che uscire dal Palazzo delle Esposizioni per seguire il continuo via vai all’interno dei padiglioni nazionali dislocati per tutti i Giardini. Tra questi mi sento in dovere di menzionarne due, forse più per l’importanza degli artisti che li presentano che per quello che mi hanno trasmesso.
Il primo è il Padiglione Spagnolo, dove sono esposte le opere di Miquel Barceló, uno degli artisti contemporanei più stimati a livello internazionale; l’altro è quello degli Stati Uniti d’America che grazie a Topological Gardens di Bruce Nauman si è aggiudicato Il Leone d’Oro per la migliore Partecipazione Nazionale. Invece voglio elogiare, più per piacere che per dovere, i Padiglioni della Danimarca e dei Paesi Nordici (Finlandia, Norvegia, Svezia), nei cui spazi, arredati come fossero ambienti domestici, vengono esposte le opere di ventiquattro artisti: The Collectors. A Elmgreen & Ingar Dragset, i due curatori della mostra, è stata assegnata la Menzione speciale “Curare Mondi” per la capacità di avere trovato nel padiglione un posto dove collaborare.

Arrivati a questo punto posso dire che il più è fatto. Ovviamente le opere esposte, e soprattutto quelle degne di nota, sono molte di più di quelle che ho brevemente presentato, ma credo di avere già scritto troppo e forse non potrei trasmettervi di più. Se però sono riuscita ad incuriosirvi, anche solo un po’, non lasciatevi scappare l’occasione di avvicinarvi al mondo dell’arte contemporanea, perché, come ho cercato di spiegarvi, questo viaggia di pari passo con il mondo in cui viviamo.
Il mio vagare per gli ambienti della Biennale è stato come sfogliare le pagine patinate di una bella rivista o quelle di un quotidiano, con la voglia di comprendere meglio quello che succede intorno a noi ogni giorno; l’unica differenza è che l’Esposizione Internazionale d’Arte è “un biennale”, “esce” solo ogni due anni e bisogna avere un po’ di pazienza.
Voglio concludere questo nostro incontro con le parole di Francesco Bonami, critico e curatore di arte contemporanea, che in poche righe è riuscito a sintetizzare quello che io avrei voluto trasmettervi scrivendo queste pagine: «Chi odia l’arte contemporanea rimpiangendo le opere del passato rifiuta di accettare il fatto che i capolavori che tanto ama hanno rappresentato anch’essi il presente per la propria epoca. Rimpiangere il passato vuol dire negare l’oggi e rinunciare al futuro. Significa rinunciare a godere, anche nelle sue forme più strane e magari brutte, l’energia che sospinge, e sempre ha sospinto, ogni società».

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