Cannes a bout de souffle
(Mariangiola Castrovilli) – Undici giorni di film a go go al festival più glamour del mondo quello di Cannes che non permette distrazioni tanto è sempre nutrito, interessante ed emotivamente coinvolgente il panorama non solo del concorso ma anche delle sezioni collaterali come la prestigiosa Un certain regard o la Quinzaine des realizateurs, o alla Camera D’or dedicata alle opere prime, per non parlare di Cannes Classic con capolavori restaurati, insomma c’è da perdere la testa senza mai avere un attimo di respiro.
I film sono passati via veloci con la loro bellezza, le loro peculiarità, i rumors ed i problemi suscitati da dichiarazioni andate piuttosto oltre come quelle di Lars Von Trier che scivolando verbalmente sempre più in basso è stato poi sanzionato in maniera irreversibile dai dirigenti del Festival che l’hanno interdetto per sempre. E passati anche i premi, chiacchierati come al solito che le varie giurie hanno attribuito.
Eccoli allora questi premi così sognati, ambiti, spasmodicamente desiderati dai venti concorrenti di quest’anno come da tutti quelli che prima di loro hanno partecipato al concorso in 64 anni di Cannes.
La Palma d’oro come sapete è andata a Tree of Life di Terrence Malick e tanto per non sbagliare nella difficoltà della scelta un ex aequo a Once Upon a Time in Anatolia del regista turco Nuri Bilge Ceylan ed ai fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne per Le gamin au velo per il Gran Premio. Migliore regia Nicholas Winding Refn che ha firmato un lavoro di una suspence eccezionale mantenuta a bout de soufflé nel suo bellissimo Drive, mentre Poliss di Maiwen ha portato a casa il Premio della Giuria. Miglior attori Jean Dujardin, strordinario interprete del delizioso film muto in bianco e nero The Artist e Kirsten Dunst per Melancholia di Lars Von Trier. Migliore sceneggiatura infine al film israeliano Hearat Shulaym (Footnote) di Joseph Cedar.
Certi giudizi come al solito poco condivisi devono però tener conto, soprattutto per quello che riguarda il concorso, dell’ampio ventaglio dei giurati che quest’anno andava da due americani, Bob De Niro ed Uma Thurman all’ inglese Jude Law, all’argentina Marina Gusman, alla norvegese Linn Ullmann al francese Olivier Assayas, a Mahamat Saleh Haroun, regista del Ciad , al produttore di Honk Kong Johnnie To per cui si possono ben immaginare le lunghe discussioni in merito anche se il presidente De Niro ha detto di aver lavorato molto bene insieme ai suoi ‘champignons’ letteralmente ‘funghi’ correggendosi subito in companions.
Il tempo scorre via veloce lasciando forse il rimpianto che un film bello ed universale come Le Havre abbia ottenuto solo il Premio della Fipresci, l’associazione della Stampa Internazionale e ci lasciamo dietro le spalle anche gli undici giorni fatti di ansie, speranze, gradini saliti con il cuore in gola su chilometri di tappeto ‘rosso Cannes’ che ha una connotazione diversa da tutti gli altri rossi del mondo, cambiato tre volte al giorno perché tutte le star possano calpestarlo vergine di passi e di altrui pensieri.
Non solo film, però anche tante feste, incontri, inviti, aperitivi, pranzi, e dopo dopo cena a bordo di lussuosissimi panfili di produttori e grandi della moda, con un gran via vai di divi, tutti elegantissimi, abbronzati, e super ingioiellati, dal famoso chirurgo estetico Giuseppe Sito richiestissimo da Los Angeles a Parigi per i suoi zigomi ottenuti solo con una punturina quasi indolore alla coppia Pitt–Jolie a Sean Penn, De Niro, molto poco mondano in verità a Kusturiza, alla Cardinale accompagnata da Francois Mitterand e poi Catherine Deneuve, Chiara Mastroianni, Faye Dunaway ancora bella grazie a qualche sapiente ritocco, come del resto la maggior parte delle stelle che abbiamo incrociato sulla Croisette.