INSTANBUL BOUND

…ho difficoltà a scrivere.  Soprattutto per problemi pratici.  Non riesco neppure a tenere la penna in mano, ma non appena ripenso alla scrittura mi prende una frenesia, una voglia di raccontare insopprimibile e, nell’impossibilità di farlo, costruisco nella mia mente le storie più astruse e mi diverto a complicarle finché, colto dalla stanchezza, non mi appisolo di nuovo… (Teodor Józef Korzeniowski)

Instambul Bound

Questa è la storia di una fotografia. La fotografia di una vecchia nave da carico che faceva la spola tra Marina di Carrara e l’Oriente negli anni Trenta.
Due fumaioli neri, un albero maestro e sei uomini d’equipaggio. Anzi sette, se contiamo anche me. C’ero capitato per caso, su quella nave diretta a Istanbul: un luogo lontano, irraggiungibile, meta sognata di un viaggio verso l’ignoto. Eppure intuivo che il mare era nel mio destino.
Tutte le cose prendono vita dall’acqua e finiscono nell’acqua.
Lo sapeva bene il capitano, ossessionato dall’idea di ritrovare un’isola misteriosa, che appare e scompare nel Mediterraneo.
L’isola-che-non-c’è, la mitica Ferdinandea, con la quale avevamo tutti un appuntamento fatale. Ma, soprattutto, questa è una storia dal finale inatteso e inquietante. Almeno per me, che non mi sono ancora rassegnato .

Carlo Bordoni

Carlo Bordoni (Carrara, 1946) è docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Firenze. Ha insegnato all’Istituto Universitario Orientale di Napoli e allo IULM di Milano. È stato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara dal 1990 al 2003.

Tra le sue pubblicazioni:
La paura il mistero l’orrore dal romanzo gotico a Stephen King (Solfanelli, 1989), Il romanzo di consumo (Liguori, 1993), Conversazioni sul vampiro (Neopoiesis, 1995), Stephen King (Liguori, 2002), Linee d’ombra (Pellegrini, 2004), Introduzione alla sociologia dell’arte (Liguori, 2005), Le scarpe di Heidegger (Solfanelli, 2005), Il testo complesso (Clueb, 2005), Società digitali (in corso di pubblicazione).
Dirige la collana di saggistica Micromegas per le Edizioni Solfanelli. Collabora alle riviste Il Ponte, “L’Indice dei Libri”, “Labirinti del Fantastico”. Il suo precedente romanzo, In nome del padre (Baroni, 2001), è una storia fantastica attorno al tema della morte apparente.

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…ho difficoltà a scrivere.  Soprattutto per problemi pratici.  Non riesco neppure a tenere la penna in mano, ma non appena ripenso alla scrittura mi prende una frenesia, una voglia di raccontare insopprimibile e, nell’impossibilità di farlo, costruisco nella mia mente le storie più astruse e mi diverto a complicarle finché, colto dalla stanchezza, non mi appisolo di nuovo… (Teodor Józef Korzeniowski)

Instambul Bound

Questa è la storia di una fotografia. La fotografia di una vecchia nave da carico che faceva la spola tra Marina di Carrara e l’Oriente negli anni Trenta.
Due fumaioli neri, un albero maestro e sei uomini d’equipaggio. Anzi sette, se contiamo anche me. C’ero capitato per caso, su quella nave diretta a Istanbul: un luogo lontano, irraggiungibile, meta sognata di un viaggio verso l’ignoto. Eppure intuivo che il mare era nel mio destino.
Tutte le cose prendono vita dall’acqua e finiscono nell’acqua.
Lo sapeva bene il capitano, ossessionato dall’idea di ritrovare un’isola misteriosa, che appare e scompare nel Mediterraneo.
L’isola-che-non-c’è, la mitica Ferdinandea, con la quale avevamo tutti un appuntamento fatale. Ma, soprattutto, questa è una storia dal finale inatteso e inquietante. Almeno per me, che non mi sono ancora rassegnato .

Carlo Bordoni

Carlo Bordoni (Carrara, 1946) è docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Firenze. Ha insegnato all’Istituto Universitario Orientale di Napoli e allo IULM di Milano. È stato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara dal 1990 al 2003.

Tra le sue pubblicazioni:
La paura il mistero l’orrore dal romanzo gotico a Stephen King (Solfanelli, 1989), Il romanzo di consumo (Liguori, 1993), Conversazioni sul vampiro (Neopoiesis, 1995), Stephen King (Liguori, 2002), Linee d’ombra (Pellegrini, 2004), Introduzione alla sociologia dell’arte (Liguori, 2005), Le scarpe di Heidegger (Solfanelli, 2005), Il testo complesso (Clueb, 2005), Società digitali (in corso di pubblicazione).
Dirige la collana di saggistica Micromegas per le Edizioni Solfanelli. Collabora alle riviste Il Ponte, “L’Indice dei Libri”, “Labirinti del Fantastico”. Il suo precedente romanzo, In nome del padre (Baroni, 2001), è una storia fantastica attorno al tema della morte apparente.

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Presentazione   di  Teodor Józef Korzeniowski 

Sono contrario a scrivere prefazioni. Specialmente ai lavori altrui. Un buon libro si presenta da solo, a meno che la prefazione non sia altro che un residuo atavico delle dediche al nobile protettore, al sovrano o al mecenate. Insomma un atto di sottomissione che lo scrittore non dovrebbe fare mai. 

Se un libro è valido, capace di attrarre con ugual magnetismo di una bussola, allora la prefazione è un inutile fardello, un’aggiunta dolciastra e sgradevole che lo pone in cattiva luce. Se invece quello scritto è così deboluccio da non farcela da solo, allora è meglio lasciarlo cadere nel dimenticatoio. Nessuna prefazione riuscirà a dargli la forza inventrice che non possiede da sé.

Naturale che, quando si parla di mare, di viaggi per mare, di vita a bordo, si pensi a me. Per questo mi hanno chiesto di scrivere una prefazione. Ero la persona adatta, avevo, come si dice, le phisique du rôle. Anche se non mi va di farlo. Una cosa che detesto. Sono contrario e lo ribadisco. E poi è da troppo tempo che non scrivo. Mi sembra un secolo. Lo posso ammettere senza vergogna: ho difficoltà a scrivere. Soprattutto per problemi pratici. Non riesco neppure a tenere la penna in mano, ma non appena ripenso alla scrittura mi prende una frenesia, una voglia di raccontare insopprimibile e, nell’impossibilità di farlo, costruisco nella mia mente le storie più astruse e mi diverto a complicarle finché, colto dalla stanchezza, non mi appisolo di nuovo. 

Sì, la veglia è faticosa e ormai riesco a tenermi desto per periodi sempre più brevi. Succede che sussulti all’improvviso quando qualcuno evoca il mio nome o apre un mio libro: sento risuonare le frasi stampate come una musica lontana che ha la capacità di farmi sentire vivo. Ma poi torna il Grande Sonno e non c’è verso di sognare. Neanche un maledetto incubo. Niente. Silenzio perfetto.

È passato talmente tanto tempo! Le cose sono cambiate. Non riuscite neppure a immaginare come sia diverso il mondo da quando ero imbarcato. Saranno stati gli occhi della giovinezza, ma c’era un’altra luce, si respirava un’altra aria e la vita di mare era un’avventura sempre esaltante. Piena di pericoli, questo sì, ma l’entusiasmo era tanto grande da far passare in secondo piano i lati negativi. La vera vita è sul mare. Su questo sono d’accordo con quel ragazzino (non ricordo più il suo nome, ma non ha importanza) che scrive di nascosto, un po’ come facevo io, e rimugina le sensazioni che ogni marinaio ha provato. Mi par di sentirlo ancora quel dondolio instancabile, quella mancanza di stabilità che non ti abbandona neanche sulla terraferma.

Ci ritrovo qualcosa di Melville, con quella fissazione assurda del capitano, e qualcosa di Verne, per via dell’isola misteriosa: tutti prodotti della concorrenza, ma affratellati dal comune amore per il mare.

Questo Istanbul Bound, tuttavia, mi ha lasciato la bocca amara per il finale inatteso: quando si dà un titolo del genere, il lettore ha tutto il diritto di aspettarsi che a Istanbul ci arrivino, bene o male, pur con tutti gli inconvenienti e gli inghippi che un viaggio sull’acqua può presentare. Invece qui tutto si ferma all’improvviso, sulla cresta di un’onda, resta sospeso su quella nota dissonante che ha continuato a ronzarmi in testa per ore, dopo averlo letto.

Certo, bisogna ammettere che la trovata è geniale. Chi avrebbe mai pensato d’imbattersi in un’isola del genere? Di solito la fantasia più sfrenata s’immagina mostruosità infernali, cavità sottomarine da esplorare, tesori nascosti, trappole mortali…

Il mio amico Defoe, che di fantasia ne aveva poca, l’isola l’aveva trovata deserta, salvo che per un unico selvaggio. Ma, benedett’uomo, da dove veniva quell’essere solitario? Caduto dal cielo? Deportato? Disseminato dal vento? L’incongruenza della presenza di Venerdì non gli ha impedito di vendere bene il suo Robinson Crusoe, cosa che gli ho sempre un po’ invidiato. Sarà forse dovuto al fatto che è stato il primo del genere… Certe volte l’incongruenza premia, perché riesce a sedurre il lettore con la sua aria leggera. 

Insomma, non volevo parlare di questo libro e invece mi accorgo di averlo “presentato” in qualche modo. Il guaio è che non riesco a farne a meno, non riesco a rinunciare alle storie di mare. Mi piacciono tutte. Sono le sole che riescano a farmi tenere gli occhi aperti.

E poi credo di aver trovato qualche rassomiglianza col macchinista. Quando leggo un libro — proprio come quando scrivevo — mi piace immedesimarmi in uno dei personaggi, pensare di essere lui e vedermi agire, come dietro uno specchio, in quelle speciali condizioni. È un viaggio dentro il viaggio della lettura, in cui spesso mi perdo. Ecco, mi sono ritrovato nell’anziano macchinista sofferente d’asma, che se ne sta defilato e osserva gli avvenimenti; interviene quando è necessario, regge il filo della storia (fino in fondo) meglio del protagonista. Si chiama persino come me: lo sapete che il mio secondo nome è Giuseppe? Però, diciamo la verità, i miei romanzi di mare e di costa erano tutt’altra cosa.  (Teodor Józef Korzeniowski)

Fonte: www.edizionitabulafati.it 

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