GREEN BUSINESS O GREEN REVOLUTION? INTERROGATIVI E ASPETTI DELLA NUOVA ECONOMIA

Si è appena conclusa la maratona di 24 ore del “Live Hearth”, il concerto per salvare la terra promosso dal paladino dell’ambientalismo USA Al Gore.
La grande kermesse musicale, che ha visto la partecipazione delle più importanti star (da Madonna ai Duran Duran), è stata attenta a rispettare i principi di eco-compatibilità ambientale come il rispetto degli standard ecologici, la vicinanza delle star al loro luogo di residenza, sconti per il trasporto pubblico ed altri criteri “verdi”. Naturalmente dal “Guardian”, ad alcuni ambientalisti, fino all’altro grande organizzatore di concerti “impegnati” (Live Aid)  Bob Geldof, non sono mancate le critiche a quest’evento. Queste critiche sono collegate: al comportamento tutt’altro che rispettoso dell’ambiente di molte star (vedi Madonna), alle 5600 tonnellate di gas a effetto serra prodotte adgli spettatori per andare ai concerti, alla retorica “pop” che rischia di fare dell’ambientalismo una moda, una tendenza, uno stile più cool di altri. La cosa che ha fatto più clamore tra i critici è che tra gli sponsor dell’evento risultasse la Chevrolet, la casa produttrice dei famosi SUV inquinatori dell’ambiente.

Questo evento rappresenta a mio parere nient’altro che l’iceberg del ritorno di un approccio allo sviluppo sostenibile che prende il nome di “economia dell’ambiente” o “modernizzazione ecologica”.

Si è appena conclusa la maratona di 24 ore del “Live Hearth”, il concerto per salvare la terra promosso dal paladino dell’ambientalismo USA Al Gore.
La grande kermesse musicale, che ha visto la partecipazione delle più importanti star (da Madonna ai Duran Duran), è stata attenta a rispettare i principi di eco-compatibilità ambientale come il rispetto degli standard ecologici, la vicinanza delle star al loro luogo di residenza, sconti per il trasporto pubblico ed altri criteri “verdi”. Naturalmente dal “Guardian”, ad alcuni ambientalisti, fino all’altro grande organizzatore di concerti “impegnati” (Live Aid)  Bob Geldof, non sono mancate le critiche a quest’evento. Queste critiche sono collegate: al comportamento tutt’altro che rispettoso dell’ambiente di molte star (vedi Madonna), alle 5600 tonnellate di gas a effetto serra prodotte adgli spettatori per andare ai concerti, alla retorica “pop” che rischia di fare dell’ambientalismo una moda, una tendenza, uno stile più cool di altri. La cosa che ha fatto più clamore tra i critici è che tra gli sponsor dell’evento risultasse la Chevrolet, la casa produttrice dei famosi SUV inquinatori dell’ambiente.

Questo evento rappresenta a mio parere nient’altro che l’iceberg del ritorno di un approccio allo sviluppo sostenibile che prende il nome di “economia dell’ambiente” o “modernizzazione ecologica”.
Green business o green revolution? Interrogativi e  aspetti della nuova economia dell’ambiente.
Alessandro Caramis

Si è appena conclusa la maratona di 24 ore del “Live Hearth”, il concerto per salvare la terra promosso dal paladino dell’ambientalismo USA Al Gore.
La grande kermesse musicale, che ha visto la partecipazione delle più importanti star (da Madonna ai Duran Duran), è stata attenta a rispettare i principi di eco-compatibilità ambientale come il rispetto degli standard ecologici, la vicinanza delle star al loro luogo di residenza, sconti per il trasporto pubblico ed altri criteri “verdi”. Naturalmente dal “Guardian”, ad alcuni ambientalisti, fino all’altro grande organizzatore di concerti “impegnati” (Live Aid)  Bob Geldof, non sono mancate le critiche a quest’evento. Queste critiche sono collegate: al comportamento tutt’altro che rispettoso dell’ambiente di molte star (vedi Madonna), alle 5600 tonnellate di gas a effetto serra prodotte adgli spettatori per andare ai concerti, alla retorica “pop” che rischia di fare dell’ambientalismo una moda, una tendenza, uno stile più cool di altri. La cosa che ha fatto più clamore tra i critici è che tra gli sponsor dell’evento risultasse la Chevrolet, la casa produttrice dei famosi SUV inquinatori dell’ambiente.
Questo evento rappresenta a mio parere nient’altro che l’iceberg del ritorno di un approccio allo sviluppo sostenibile che prende il nome di “economia dell’ambiente” o “modernizzazione ecologica”.
Lo scenario a cui oggi assistiamo infatti, è ben diverso da quello degli anni sessanta/settanta in cui l’ambientalismo è nato e si è diffuso. A ben guardarci in giro, vediamo come oggi i più accaniti difensori dell’ambiente (della lotta all’effetto serra all’inquinamento, dall’utilizzo di energie rinnovabili al risparmio energetico) sono gli attori tradizionali una volta bersaglio e nemiche di esso come: aziende, imprese, grandi multinazionali. La novità di oggi è che si fanno promotori di politiche ad azioni volte a puntare verso lo sviluppo sostenibile proprio gli stessi attori che hanno contribuito a creare questa situazione in cui viviamo.

Cosa sostiene la teoria dell’economia dell’ambiente?
Sostiene che la soluzione ai problemi ambientali va ricercata all’interno dei meccanismi di mercato  facendo leva sull’innovazione di prodotto (nuove tecnologie verdi) e di processo (risparmio energetico) e non cambiando il sistema. In quest’approccio, che Magnaghi definisce “funzionalista”, lo sviluppo sostenibile è dettato dal mercato e delle imprese che decidono cosa produrre, quando, dove e come. L’unica differenza consiste nel fatto che i beni di consumo vengono dotati di un valore aggiunto ambientale e che le soluzioni ai problemi causati dall’inquinamento e dal climate change sono date dalla tecnologia stessa.
La strategia consiste nella “monetizzazione” dei beni ambientali. Ovvero, se io so che un bene di consumo (può essere un vestito, una società fornitrice di energia elettrica, un’auto) è prodotto e distribuito rispettando determinati standard ecologici sarò più propenso ad acquistarlo a differenza di un altro. In questo modo, secondo i fautori di quest’approccio, la domanda di beni e servizi a qualità ambientale si allargherebbe in misura proporzionale all’aumentare del reddito.
E’ la logica del “chi inquina paga”.

Di esempi in questo caso ne vediamo tanti. Il magnate della comunicazione Murdoch ha recentemente annunciato per il suo gruppo (la News Corporation) un programma di green revolution che renderà la sua Corporation “carbon neutral” e che darà risalto nelle sue reti alle tematiche “verdi” . La Dupont, gigante della chimica mondiale, ha ridotto le emissioni delle sue azionde del 73% ed allo stesso tempo ha visto risparmiare nella sua bolletta energetica 3 miliardi di dollari.
Google costruisce nel mondo i suoi uffici e le sue fabbriche utilizzando materiali biodegradabili o riciclati, facendoli alimentare da fonti rinnovabili ed incentivando i suoi dipendenti ad utilizzare auto ibride. Multinazionali petrolifere come Chevron stanno investendo massicciamente nei cosiddetti “bio-carburanti”  agricoli per alimentare le automobili con benzina ecologica. La Silicon Valley sta sempre più diventando “Energy Valley” per la sua ricerca nelle “clean technology”. La General Eletric grazie al suo nuovo amministratore delegato Jeffrey Immlet finanzia per il suo settore R&S innumerevoli progetti inerenti fonti rinnovabili ed energie pulite per l’ambiente.
Anche IKEA fa dell’ambiente una leva strategica di sviluppo adottando criteri di risparmio energetico, mobilità collettiva, fonti rinnovabili.
Esempio più concreto di tutti è il “Business Action for Suistinable Development”. Una lobby di 163 imprese molto presenti in tutte le conferenze internazionali sull’ambiente che preme sui governi affinché venga  raggiunto l’obiettivo della riduzione del 60% di gas-serra entro il 2050.
Anche “a casa nostra” non mancano i casi di aziende (dall’ENI all’ENEL) che puntano sempre più al risparmio energetico, all’utilizzo di fonti rinnovabili, al rispetto di criteri di efficienza, alla promozione di beni e servizi ad alto contenuto “ecologico”.
Arnold Swarzenegger, governatore della California, ha ben rappresentato questo punto di vista dove, in un articolo distribuito al “Tribune Media Service” e tradotto dal “Corriere della sera”, dice: “La California ha capito per prima che l’ambiente può generare nuovi business (…)A lungo termine l’esigenza di risanare l’ambiente e frenare il riscaldamento del clima sta spalancando nuovi mercati per le tecnologie pulite. E l’economia sta diventando il principale sostenitore della causa ambientalista anziché il suo nemico

Alla luce di questa inedita conversione ecologica delle principali responsabili dell’inquinamento e dell’effetto serra mondiale quali sono gli interrogativi che si pongono?
Serge Latouche nel suo “Sopravvivere allo sviluppo” fa notare come il concetto “sviluppo sostenibile” sia oggi diventato più che altro un concetto che non intende mettere in discussione gli attuali modelli di crescita ma far sì che “lo sviluppo così com’è possa durare indefinitivamente . La sostenibilità non è quindi quella dei processi naturali degli habitat sociali ma dello sviluppo stesso che, con apportate correzioni, può evitare il collasso su se stesso.
Secondo Latouche infatti, “la diminuzione dell’intensità del prelievo di risorse è innegabile ma questa è compensata dall’aumento generale della produzione e di conseguenza il salasso di risorse e l’inquinamento continuano ad aumentare.  Anche le  Nazioni Unite riconoscono che se nei paesi occidentali i processi di produzione sono divinatati meno dispendiosi di energia l’aumento  esponenziale dei volumi dei beni prodotti rende totalmente ininfluente questi processi di efficienza verde. Tutto questo senza tener conto dei nuovi mercati asiatici in cui all’aumento dei beni prodotti immessi nel mercato globale non corrisponde il rispetto dei più elementari standard ecologici e sociali.

Anche Mangnaghi, nel suo saggio “Progetto locale” mette in luce i limiti di un’approccio teso ad affrontare i problemi ambientali. Egli afferma: “Le normative, le opere, le politiche che agiscono a valle dei processi di degrado ambientale non sono in grado di contrastare con continuità il riprodursi dei fattori di degrado. Inoltre nei casi di grande impiantistica le opere stesse contribuiscono a produrre ulteriore artificializzazione e a ridurre la complessità degli eco-sistemi, accrescendo la loro vulnerabilità e amplificando squilibri e degrado”.
A fini di questo basta vedere gli impatti negativi che possono avere sul territorio impianti come: grandi parchi eolici, centrali a solare termodinamico, grandi coltivazioni a per biodisel o biocarburante, centrali nucleari,ecc

In conclusione, l’interrogativo che va posto è se questo gran parlare oggi di ambiente, energie rinnovabili e sviluppo sostenibile corrisponda più a criteri di efficentizzazione economica e nuovi business aziendali che di rispetto dell’ecosistema terra e dei suoi cicli di riproduzione naturali.
Oggi l’ambiente è la nuova frontiera del business delle grandi Corporation che con accurate politiche di comunicazione ambientale attuano un restyling verde tale da rendere appetibili i suoi beni di consumo e attraente la sua immagine agli occhi del consumatore.
Non è soltanto immagine. Esse veramente stanno investendo in risparmio energetico, rinnovabili, ecc.. La domanda che dobbiamo porci però è: “la soluzione ai problemi ambientali e sociali di cui siamo sempre più consapevoli (cambiamento climatico) possano trovare la soluzione all’interno del sistema di produzione e di sviluppo che li hanno generati, “monetizzando” semplicemente il bene ambiente e puntando tutto sulle nuove tecnologie (rinnovabili, pulite, verdi,ecc…)?

La mia risposta è che questi processi non bastano, anzi per certi versi vanno in tutt’altra direzione. Nel corso dei prossimi articoli mi preoccuperò di rilevare altri aspetti problematici collegati a questa situazione.

Fonti

Serge Latouche , Come Sopravviver allo Sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.

Alberto Magnaghi, Il Progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

Massimo Gaggi, “Corriere della Sera”, (12/03/2007,14/05/2006,1/11/2006,27/11/2006)

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