QUEL SOTTILE FILO CONDUTTORE

Uno spruzzo di nero in un paesaggio soleggiato (…) un punto di
nero tra i più interessanti e tra i più difficili da rendere esattamente, 
che io possa immaginare
  (Van Gogh )

 

D O M A N I   C H E   D A   T E   A N D R A I   V I A :    C H E   C O S A   S A P R A I  ?

di     Maria  Stella  Ivana  Riggi

È sera, fa molto caldo… il pc mi osserva annoiato ed impalato come se chiedesse: << e adesso che si scrive? >>. Un sms trilla: << Questa sera usciamo? >>. E così, nell’attesa degli sviluppi di questa notte estiva, mi sento un po’ come mister Bin che scarta un regalo dinanzi a personaggi immaginari: <<Oh!…Oh!…Oh!…>>.

Cesare PaveseIn realtà sto aprendo un pensiero che va da tempo a due scritti di Cesare Pavese (1908-1950) <<La spiaggia>> (1942) e <<La bella estate>> (1949), edizione Einaudi; nelle rispettive copertine, due scorci di tele di Vincent Van Gogh (1853-1890): “Barche di pescatori sulla spiaggia di Les Saintes-Maries-de-la-Mer” (giugno 1888), “Campo di grano con cipresso”(settembre 1889).
Il mio “oltrepensiero” si chiude con un terzo artista: Luigi Vannucchi (1930-1978) noto doppiatore ed attore che interpretò anche Pavese in teatro in “Il vizio assurdo” (1960 – di  Davide Lajolo), era nisseno come me. Tre uomini, tre artisti che ad un certo punto della loro esistenza hanno deciso di “spazzarsi via” suicidandosi.

…<>, sì… ma adesso scansati mister Bin, vorrei metter mano alla tastiera!

Scriveva Pavese in “La spiaggia”:
<< (…) Doro è di quelli che la felicità rende taciturni.
(…) – Cos’era? Un uomo rappresentativo? – dissi.
– No un uomo nato per tutt’ altro, uno sposato, uno di quelli che imparano a essere furbi perché fanno una vita che non li contenta.
– Tutti dovrebbero essere furbi, allora.
(…) Lo lasciai dire quello che volle.
(…) – Per sopportare i ricordi dell’infanzia di un altro, bisogna esserne innamorato.
(…) il mare aveva l’effetto di farmi vivere sotto una campana di vetro.
(…) La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s’illude di favorire in questo modo la meditazione, ma le verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt’ al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt’altro.

Ed ancora in “ La bella estate”:
(…) La stanza si andava spegnendo e allora Ginia si alzò e girò il collo a guardare un quadretto. Era quello delle fette di melone, che sembravano trasparenti e tutte acqua. Ginia s’accorse che c’era nel quadro  un riflesso di luce rosa ma dipinta, che ricordava quello rosso del velluto di quand’era entrata. Capì allora che per dipingere bisogna sapere queste cose, ma non osò dirlo a Guido.

(…) – Qui non c’è quell’ odore di vernice che si sente dai pittori – disse allora Ginia.
Guido si alzò e si infilò la giacca. – È l’odore dell’acqua ragia. È un buon odore –
segue …>>

Uno spruzzo di nero in un paesaggio soleggiato (…) un punto di
nero tra i più interessanti e tra i più difficili da rendere esattamente, 
che io possa immaginare
  (Van Gogh )

 

D O M A N I   C H E   D A   T E   A N D R A I   V I A :    C H E   C O S A   S A P R A I  ?

di     Maria  Stella  Ivana  Riggi

È sera, fa molto caldo… il pc mi osserva annoiato ed impalato come se chiedesse: << e adesso che si scrive? >>. Un sms trilla: << Questa sera usciamo? >>. E così, nell’attesa degli sviluppi di questa notte estiva, mi sento un po’ come mister Bin che scarta un regalo dinanzi a personaggi immaginari: <<Oh!…Oh!…Oh!…>>.

Cesare PaveseIn realtà sto aprendo un pensiero che va da tempo a due scritti di Cesare Pavese (1908-1950) <<La spiaggia>> (1942) e <<La bella estate>> (1949), edizione Einaudi; nelle rispettive copertine, due scorci di tele di Vincent Van Gogh (1853-1890): “Barche di pescatori sulla spiaggia di Les Saintes-Maries-de-la-Mer” (giugno 1888), “Campo di grano con cipresso”(settembre 1889).
Il mio “oltrepensiero” si chiude con un terzo artista: Luigi Vannucchi (1930-1978) noto doppiatore ed attore che interpretò anche Pavese in teatro in “Il vizio assurdo” (1960 – di  Davide Lajolo), era nisseno come me. Tre uomini, tre artisti che ad un certo punto della loro esistenza hanno deciso di “spazzarsi via” suicidandosi.

…<>, sì… ma adesso scansati mister Bin, vorrei metter mano alla tastiera!

Scriveva Pavese in “La spiaggia”:
<< (…) Doro è di quelli che la felicità rende taciturni.
(…) – Cos’era? Un uomo rappresentativo? – dissi.
– No un uomo nato per tutt’ altro, uno sposato, uno di quelli che imparano a essere furbi perché fanno una vita che non li contenta.
– Tutti dovrebbero essere furbi, allora.
(…) Lo lasciai dire quello che volle.
(…) – Per sopportare i ricordi dell’infanzia di un altro, bisogna esserne innamorato.
(…) il mare aveva l’effetto di farmi vivere sotto una campana di vetro.
(…) La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s’illude di favorire in questo modo la meditazione, ma le verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt’ al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt’altro.

Ed ancora in “ La bella estate”:
(…) La stanza si andava spegnendo e allora Ginia si alzò e girò il collo a guardare un quadretto. Era quello delle fette di melone, che sembravano trasparenti e tutte acqua. Ginia s’accorse che c’era nel quadro  un riflesso di luce rosa ma dipinta, che ricordava quello rosso del velluto di quand’era entrata. Capì allora che per dipingere bisogna sapere queste cose, ma non osò dirlo a Guido.

(…) – Qui non c’è quell’ odore di vernice che si sente dai pittori – disse allora Ginia.
Guido si alzò e si infilò la giacca. – È l’odore dell’acqua ragia. È un buon odore –
segue …>>

Ho sottolineato brevi passi ripresi, volutamente, senza un apparente senso logico affinché ognuno possa coglierci liberamente del suo.
Ci ha già pensato la critica a sottolineare  la dicotomia presente negli scritti di Pavese: la vita e la morte, l’innocenza e la tentazione, il mondo operaio  e la borghesia, le colline e la spiaggia… Ma più istantaneamente e semplicemente egli opera quasi chirurgicamente sull’intera esistenza cogliendone tutti gli aspetti più veri e vitali senza alcuna retorica (lo scrittore contemporaneo Philip Roth, nei suoi manoscritti, me lo ricorda molto…così come la protagonista di “La solitudine di Helena” di Millas mi fa venire in mente la Clelia di “Tra donne sole” in “La bella estate”…).
Il senso della morte, intesa come “sconfitta fisica e morale”, presente in molti libri e poesie di Pavese  credo che alla fine renda, per contrapposizione, più intenso il significato della vita.
 
Ma adesso io e mister Binn volevamo spostare la nostra linea di orizzonte su quel riflesso di luce rosa osservato da Ginia, su quell’odore di acqua ragia… su quelle copertine dei libri precedentemente citati, su un essere dai capelli rossi che navigava tra genialità e follia: Van Gogh.
“Vincent” non era solo l’uomo che si mutilò un orecchio, che visse per un periodo con una prostituta e che alla fine decise di spararsi un colpo fatale di rivoltella. Così come Pavese non era solamente ”l’uomo vocato al suicidio” che si innamorò prima della donna dalla “voce rauca” (per aiutare la quale si fece anche la galera…) e poi della bellissima Dowling, amara goccia che fece trabboccare il vaso. “Smitizziamo” per un attimo e cerchiamo di osservarli come semplici artisti in grado di pensare oltre; se poi alla fine dell’esistenza dalla mano cada un pennello o piuttosto una penna forse poco importa…
Vincent riferendosi alle due tele precedentemente menzionate scriveva: <>
 << La mia ambizione è limitata a poche zolle di terra, al grano che cresce, a un cipresso che tra l’altro non è facile a farsi. >>
E più in generale:
<>
<> (mi ricorda quel “fumando disperde i pensieri come nebbia…”).

Van Gogh studiò più volte sia “Barche di pescatori sulla spiaggia di Les Saintes-Maries-de-la-Mer” che “Campo di grano con cipresso”. Quasi contemporaneamente si concentrò solo sullo studio del cipresso. Qualcuno di noi potrebbe pensare: << Via! È solamente un cipresso!>> …Ma il pittore così scriveva al fratello Theo nella loro fitta corrispondenza: <>. Gli apparivano come << uno spruzzo di nero in un paesaggio soleggiato (…) un punto di nero tra i più interessanti e tra i più difficili da rendere esattamente,  che io possa immaginare>>. L’artista attribuiva metaforicamente al cipresso delle caratteristiche  umane. Per associazione cito Venturi che commenta Pavese: << sceglie fin da ragazzo la letteratura come schermo metaforico della sua condizione esistenziale >>…

La pittura e la scrittura di questi due artisti entrambe scudi  metaforici della vita…
Il terzo artista  Luigi Vannucchi  fu doppiatore (ricordiamo le voci dei mitici Clint Eastwood, Clark Gable, Dean Martin? Erano sue!), attore teatrale e cinematografico. Lasciata la Sicilia, a soli sedici anni iniziò a studiare teatro all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico. In seguito lavorò per le compagnie teatrali di Gassman e Squarzina e recitò per il cinema (“Le piacevoli notti”, “Tiffany memorandum”, “L’arcidiavolo”, “ Il tigre”…).
Vannucchi morì suicida a soli quarantotto anni, nel pieno della sua maturità artistica. Ultima sua interpretazione teatrale e televisiva? Proprio l’inizialmente citato  Il vizio assurdo, scritto di Davide Lajolo che ricostruisce la vita di Pavese. Che Vannucchi sia entrato troppo dentro al protagonista ricostruito da Lajolo? Non so, ma  in “Il vizio assurdo”, lo scrittore non tenta la ricostruzione di un Pavese deluso dall’amore e sconfitto dalla morte, più che altro costruisce un personaggio cercando di farne risaltare le qualità intellettuali e le  scelte di vita, scavando attraverso le lettere e le poesie recuperate dentro il suo baule dopo dieci anni dalla sua scomparsa. Raccogliendo testimonianze, Pavese ci ritorna più vivo che mai e in questo Vannucchi  fu bravissimo…
Ho utilizzato il tema dell’arte (scrittura-pittura- teatro-cinema) quasi come elemento catartico della morte, in particolar modo del suicidio (in questo caso proprio di tre esistenze legate per caso da un unico e sottile filo conduttore…).
L’arte “curiosità di vita” diventa vita essa stessa anche quando quest’ultima viene rinnegata.
Chiudo con una quartina di  Omar Khayyâm :
Il cuore conosceva il segreto dell’esistenza per quello che è
E conscio della morte anche di quella conosceva i segreti.
Se oggi che sei in te nulla conosci
Domani che da te andrai via, che cosa saprai?

Maria Stella Ivana Riggi

mikronet

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