SUCCESSE UN QUARANTOTTO… IN QUELL'ANNUS HORRIBILIS

Pestati, costretti a scappare con quattro stracci addosso, ricoperti di ingiurie…

Giuseppe Brienza
I GESUITI E LA RIVOLUZIONE DEL 1848
Solfanelli 

GIUSEPPE BRIENZA - I GESUITI E LA RIVOLUZIONE DEL 1948 - EDIZIONI SOLFANELLIQuesto saggio offre uno scorcio chiarificatore sulla vicenda di molti religiosi della Compagnia di Gesù che, nell’Italia infiammata dalla Rivoluzione europea del 1848, furono messi al bando e costretti a defatiganti esili a causa dei moti risorgimentali dello stesso anno. Propellente ideologico innescato contro i Gesuiti furono soprattutto i corrosivi pamphlet di Vincenzo Gioberti, che li accusava di costituire “uno dei principali ostacoli al riscatto d’Italia”.

Al contrario, furono invece perseguitati e costretti a lasciare il paese insigni studiosi appartenenti alla Compagnia, molto apprezzati all’estero (dove poterono infatti trovare rifugio e continuare le loro attività), come i padri Francesco de Vico e Angelo Secchi considerati ancor oggi pionieri dell’astrofisica, i teologi Giovanni Perrone e Johann Baptist Franzelin, e infine il filosofo Luigi Taparelli d’Azeglio i cui studi sul diritto naturale e sui rapporti fra società civile e Stato (questi ultimi per molti aspetti anticipatori dell’attuale dibattito sul “principio di sussidiarietà”) rappresentano pietre miliari nel pensiero cattolico contemporaneo.

La testimonianza di fedeltà dei Gesuiti all’Ordine e al Papa anche come sovrano temporale conferma come in buona parte degli Stati preunitari, nonostante le infiltrazioni illuministiche verificatesi nelle élite intellettuali, il clero e il mondo scientifico continuassero ad essere fedeli a Pio IX. Romana del resto — come ha dimostrato Giuseppe Spada, lo storico coevo probabilmente più documentato di quegli anni e ampiamente citato nel saggio — la rivoluzione del ’48-’49 nella capitale del Papa-re lo fu solo nella terminologia usata dalla propaganda del tempo e trasmessa fino ad oggi dalla vulgata risorgimentale.

Pestati, costretti a scappare con quattro stracci addosso, ricoperti di ingiurie…

Giuseppe Brienza
I GESUITI E LA RIVOLUZIONE DEL 1848
Solfanelli 

GIUSEPPE BRIENZA - I GESUITI E LA RIVOLUZIONE DEL 1948 - EDIZIONI SOLFANELLIQuesto saggio offre uno scorcio chiarificatore sulla vicenda di molti religiosi della Compagnia di Gesù che, nell’Italia infiammata dalla Rivoluzione europea del 1848, furono messi al bando e costretti a defatiganti esili a causa dei moti risorgimentali dello stesso anno. Propellente ideologico innescato contro i Gesuiti furono soprattutto i corrosivi pamphlet di Vincenzo Gioberti, che li accusava di costituire “uno dei principali ostacoli al riscatto d’Italia”.

Al contrario, furono invece perseguitati e costretti a lasciare il paese insigni studiosi appartenenti alla Compagnia, molto apprezzati all’estero (dove poterono infatti trovare rifugio e continuare le loro attività), come i padri Francesco de Vico e Angelo Secchi considerati ancor oggi pionieri dell’astrofisica, i teologi Giovanni Perrone e Johann Baptist Franzelin, e infine il filosofo Luigi Taparelli d’Azeglio i cui studi sul diritto naturale e sui rapporti fra società civile e Stato (questi ultimi per molti aspetti anticipatori dell’attuale dibattito sul “principio di sussidiarietà”) rappresentano pietre miliari nel pensiero cattolico contemporaneo.

La testimonianza di fedeltà dei Gesuiti all’Ordine e al Papa anche come sovrano temporale conferma come in buona parte degli Stati preunitari, nonostante le infiltrazioni illuministiche verificatesi nelle élite intellettuali, il clero e il mondo scientifico continuassero ad essere fedeli a Pio IX. Romana del resto — come ha dimostrato Giuseppe Spada, lo storico coevo probabilmente più documentato di quegli anni e ampiamente citato nel saggio — la rivoluzione del ’48-’49 nella capitale del Papa-re lo fu solo nella terminologia usata dalla propaganda del tempo e trasmessa fino ad oggi dalla vulgata risorgimentale.

AVVENIRE

1848, caccia al gesuita
di Antonio Giuliano
Avvenire, 20/10/2007, p. 29

Successe un Quarantotto.
Pestati, costretti a scappare con quattro stracci addosso, ricoperti di ingiurie. Fu una vera «caccia al gesuita» quella scatenatasi nel fatidico 1848.
«L’astio contro la Compagnia di Gesù fu quello più forte manifestato durante tutto il corso del Risorgimento contro ogni altro istituto religioso presente in Italia». Ne è convinto Giuseppe Brienza nel saggio I gesuiti e la rivoluzione del 1848, un agile e documentato volumetto che rispolvera una pagina poco conosciuta della nostra storia pre-unitaria.
Sin dall’arrivo di Ignazio di Loyola a Roma nel 1538 i gesuiti – ottenuta l’approvazione pontificia dell’ordine – si distinsero da subito come una «squadra d’assalto» al servizio della Santa Sede. Con quel quarto voto aggiunto di servire in modo speciale il Papa, la Compagnia durante il Risorgimento finì nel mirino di quelle forze rivoluzionarie che per ottenere l’unificazione volevano cancellare lo Stato pontificio e la tradizione cattolica della Penisola. Già nel 1773 una campagna calunniosa di alcune potenze e diplomazie liberali, protestanti e filo-massoniche, aveva indotto papa Clemente XIV a sopprimere l’ordine. Una decisione che il Pontefice si rimprovererà poi per tutta la vita.
Tuttavia la Compagnia, rinata nel 1814, conobbe una fioritura inarrestabile fino al 1848. Ma la massoneria, che dall’inizio dell’Ottocento aveva mostrato sempre più aperta ostilità verso il cattolicesimo, alimentò in buona parte dei circoli borghesi e intellettuali europei l’immagine dei gesuiti come figure oscure, chiuse, avide, ambigue e senza patria. L’ordine veniva altresì visto come il principale sostegno al rinnovato legame tra trono e altare sancito dalla Restaurazione. E a dar man forte all’antigesuitismo del XIX secolo ci pensò perfino Vincenzo Gioberti. Già, proprio lui, che nell’opera Del primato morale e civile degli italiani (1843) si era fatto promotore del neoguelfismo, auspicando per l’Italia una confederazione di Stati presieduta dal Papa. Il suo apporto alla persecuzione anti-gesuita in Italia viene definito «decisivo» nel libro.
Di certo l’abate torinese non fu tenero nei confronti della Compagnia. Prima con i Prolegomeni al Primato (1845) e poi con i cinque prolissi volumi de Il gesuita moderno (1847), Gioberti bollò il gesuitismo come «uno dei principali ostacoli al riscatto d’Italia». Più tardi l’abate chiarirà che attaccava nei gesuiti quanti si opponevano alla sua concezione eterodossa del cristianesimo, per qualcuno molto vicina al panteismo. Sta di fatto che le sue critiche furono riprese nell’ondata di persecuzioni che si abbatté sulla Compagnia nel 1848. Partì dal Regno di Sardegna. I religiosi a fatica riuscivano a sfuggire alla furia dei più scalmanati. Il gesuita portoghese padre Jourdan venne impiccato in piazza San Domenico a Genova. Con la legge del 21 luglio 1848 e il successivo decreto del 25 agosto, lo Stato sabaudo decretava l’espulsione di quanti si rifiutavano di uscire dall’ordine.
Dopo le leggi liberticide, i religiosi superstiti si trovarono ridotti in piccole comunità di due o tre persone, quasi clandestine. E al grido di «Viva l’Italia, viva Gioberti, morte ai traditori» e «Fuori i gesuiti, morte ai gesuiti», la persecuzione si estese ovunque. A Napoli, nel regno borbonico, furono costretti a partire a centinaia, dopo l’intimidazione sul portone della chiesa del Gesù Nuovo: «O fuori o sangue». E così nel Lombardo-Veneto e nello Stato pontificio: a Camerino alcuni esagitati tentarono di gettare i religiosi dalle finestre del collegio; a Fano invece i consacrati furono costretti a correre sui monti inseguiti da facinorosi armati. Pio IX stesso fece sapere al preposito generale padre Jan Roothaan di non essere in grado di assicurare l’incolumità dei suoi religiosi e pertanto li pregava di lasciare gli Stati pontifici. Presero la via dell’esilio molti padri luminari del sapere: come l’astronomo Angelo Secchi, pioniere dell’astrofisica per lo studio dell e comete, che riuscì però a mettersi in salvo.
Nell’annus horribilis per la Compagnia, molti suoi confratelli videro ben altre stelle.

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