TAMBURELLANDO SU DUE TASTIERE
ARCHITETTURA & DESIGN – Rubrica a cura di Maria Stella Ivana Riggi
« (…) L’architetto, lo scultore hanno tutto l’interesse che l’uomo si attenda da loro, dalla loro arte, dalla loro mano un prolungamento della propria esistenza; per questo vorrei monumenti ben ideati e ben fatti, che non siano disseminati qua e là a caso, ma vengano eretti in un luogo in cui possano durare. (…) In generale il problema è quello dell’invenzione e della sua giusta esecuzione. (…) Schizzi per monumenti di ogni tipo ne ho raccolti molti e, se verrà l’occasione, li potrò mostrare: ma il più bel monumento resta pur sempre l’immagine stessa dell’uomo »
da “Le affinità elettive” di Goethe
S U I B I N A R I P A R A L L E L I D E L L ‘ I R O N I A :
A C H I L L E C A S T I G L I O N I – J O S E ‘ S A R A M A G O
A C H I L L E C A S T I G L I O N I – J O S E ‘ S A R A M A G O
di Maria Stella Ivana Riggi
Mi diverto molto a cercare le immagini ed i volti dei personaggi di cui studio e leggo. Sono curiosa di vedere come si presentano al pubblico ( campagna pubblicitaria a parte … ). Le foto me li rendono, come dire, “familiari”.
Di recente ho avuto una “animata discussione” sull’umiltà; mi è stato suggerito di ricordare quella dei “grandi maestri” e di cercare di restare il più possibile “tranquilla”…
Premio: maggiori soddisfazioni.
È difficile!
L’ego irrequieto traballando ricerca conferme… Così, nel marasma della più totale confusione, busso per aria e qualcuno risponde: l’Ironia.
Difficile l’ironia: si può essere bravi, bravissimi professionisti ma poco ironici…
Perdita: l’acume del sorriso, altra opportunità per osservare la realtà.
“L’ironico emana umiltà da fermo conservando un grande pudore”… È un insegnamento di un amico fotografo che accompagnavo spesso quando ero ancora adolescente.
Il taglio di questa rubrica “Architettura & Design”, spesso non sarà riferito settorialmente e strettamente a questi due campi, ma spazierà toccando altri fronti. Non a caso ho citato Goethe: “ (…) ma il più bel monumento resta pur sempre l’immagine stessa dell’uomo (…) ”
Così, scrivendo questo pezzo, sarà come se tamburellasi contemporaneamente su due tastiere: con una mano su Achille Castiglioni, con l’altra su Josè Saramago. Correrò su due binari: quello del design rappresentato dal primo e quello della letteratura emblema del secondo, ma alla fine del viaggio si udirà:
<< Ultima fermata IRONIA! >>.
segue …>>
ARCHITETTURA & DESIGN – Rubrica a cura di Maria Stella Ivana Riggi
« (…) L’architetto, lo scultore hanno tutto l’interesse che l’uomo si attenda da loro, dalla loro arte, dalla loro mano un prolungamento della propria esistenza; per questo vorrei monumenti ben ideati e ben fatti, che non siano disseminati qua e là a caso, ma vengano eretti in un luogo in cui possano durare. (…) In generale il problema è quello dell’invenzione e della sua giusta esecuzione. (…) Schizzi per monumenti di ogni tipo ne ho raccolti molti e, se verrà l’occasione, li potrò mostrare: ma il più bel monumento resta pur sempre l’immagine stessa dell’uomo »
da “Le affinità elettive” di Goethe
S U I B I N A R I P A R A L L E L I D E L L ‘ I R O N I A :
A C H I L L E C A S T I G L I O N I – J O S E ‘ S A R A M A G O
A C H I L L E C A S T I G L I O N I – J O S E ‘ S A R A M A G O
di Maria Stella Ivana Riggi
Mi diverto molto a cercare le immagini ed i volti dei personaggi di cui studio e leggo. Sono curiosa di vedere come si presentano al pubblico ( campagna pubblicitaria a parte … ). Le foto me li rendono, come dire, “familiari”.
Di recente ho avuto una “animata discussione” sull’umiltà; mi è stato suggerito di ricordare quella dei “grandi maestri” e di cercare di restare il più possibile “tranquilla”…
Premio: maggiori soddisfazioni.
È difficile!
L’ego irrequieto traballando ricerca conferme… Così, nel marasma della più totale confusione, busso per aria e qualcuno risponde: l’Ironia.
Difficile l’ironia: si può essere bravi, bravissimi professionisti ma poco ironici…
Perdita: l’acume del sorriso, altra opportunità per osservare la realtà.
“L’ironico emana umiltà da fermo conservando un grande pudore”… È un insegnamento di un amico fotografo che accompagnavo spesso quando ero ancora adolescente.
Il taglio di questa rubrica “Architettura & Design”, spesso non sarà riferito settorialmente e strettamente a questi due campi, ma spazierà toccando altri fronti. Non a caso ho citato Goethe: “ (…) ma il più bel monumento resta pur sempre l’immagine stessa dell’uomo (…) ”
Così, scrivendo questo pezzo, sarà come se tamburellasi contemporaneamente su due tastiere: con una mano su Achille Castiglioni, con l’altra su Josè Saramago. Correrò su due binari: quello del design rappresentato dal primo e quello della letteratura emblema del secondo, ma alla fine del viaggio si udirà:
<< Ultima fermata IRONIA! >>.
segue …>>
Achille Castiglioni era milanese, della classe 1918. Architetto e designer ha ricevuto più volte il “Compasso d’oro”. È morto il 2 dicembre del 2002.
Josè Saramago, portoghese, precisamente di Azinhaga, è della classe 1922 ha avuto il premio Nobel per la letteratura.
Achille Castiglioni è sicuramente uno dei più grandi maestri del design a livello internazionale.
Ha disegnato centinaia di oggetti.
Era un curioso, attento critico dei comportamenti degli altri. Credo che dinanzi ai suoi tanti progetti portasse l’interlocutore a trovare da solo delle risposte, divertendosi nell’osservarli: un’ironia socratica che non si affidava ad una autorità intellettuale precostituita, ma alla realizzazione di oggetti “concreti” per necessità vere.
Paola Antonelli che insieme a Steven Guarnaccia ha curato il volume “Achille Castiglioni”- Corraini editore, riporta una delle formule di questo designer: “Per progettare bisogna osservare”. E ritengo che non sia un caso che Antonelli si sia avvalsa di Guarnaccia, bravissimo ed ironico illustratore, per presentare i progetti di Castiglioni nel citato volume ed alla mostra nel Museum of Modern Art. (1997).
Guarnaccia ritrae l’essenza degli oggetti in pochi tratti portandoci a riflettere ma anche a sorridere… Ironia + ironia = sorpresa, stupore: l’ego dell’astante si ridimensiona simpatizzando con l’oggetto. Incuriosito ne coglie l’utilità. Gli si “affeziona”: si crea un “rapporto”…
Qualche tempo fa, quattro giovani architetti sono andati ad intervistare alcuni “Designer storici” ( beati loro! ) tra questi c’era anche Castiglioni. Nel loro libro, edito dalla Mondadori, che si intitola appunto ” Maestri del Design”; alla domanda:
<< Forse basta che l’oggetto sia “simpatico”, come dice lei?>>
l’architetto milanese rispose:
<< Sostituite la parola “simpatico”. È un rapporto di reciproca curiosità tra chi compra e chi lo produce; chi lo ha prodotto comunica con chi lo usa, chi lo usa comunica con chi lo ha progettato: questo tipo di curiosità fa si che ci si affezioni, oppure no, a un oggetto.
Io sono dell’idea che agli oggetti ci si affezioni. Molti dicono che non è vero, ma io ci credo. Qualsiasi oggetto ha in sé le ragioni per cui è fatto con una determinata forma. >>
L’essenza del fare progettuale di Castiglioni l’ho colta più volte studiandola, ma l’ho compresa realmente visitando il suo studio nell’ Aprile scorso.
In seguito alla sua morte, in collaborazione con la Triennale di Milano, le cinque stanze di Piazza Castello sono state aperte al pubblico.
Non mi era ancora capitato di poter visitare lo studio di un “maestro”.
Sono entrata in quello di qualche professore ai tempi dell’università o, rare volte, in quello di qualche altrettanto bravo architetto per “colloqui di lavoro”. Quando è successo, però, il tempo prepotente mi ha regalato pochissime immagini da conservare. Tutto era corredato dalla burocrazia, da una serie di domande su quanto pensassi di poter guadagnare, su quali progetti avessi fatto, su quali programmi di grafica avrei saputo utilizzare, su “come avrei pensato di poter mangiare”…
Da Castiglioni è stato diverso: oggi il suo studio è un museo, ma senza austerità.
Così ti aggiri per le stanze senza avere la preoccupazione di dover raccontare di te…Puoi carpire dall’atmosfera e, se sei predisposto, raggiungi per un po’ quella famosa “tranquillità” di cui ho accennato inizialmente…
C’è un grande specchio all’interno della sua stanza, posizionato in modo da poter avere una visione globale del resto dello studio. C’è un grande tavolo, dove si discutevano i progetti, con tante sedie ognuna diversa dall’altra, ognuna un progetto. Ci sono tanti e tanti libri e tante riviste settoriali ( quelle “storiche” ) e contemporaneamente ci sono tanti e tanti oggetti…modelli, squadre, righe, timbri, nessun pc per disegnare…ci sono dei biglietti appesi ed alcuni acuti e divertentissimi pensieri scambiati con Sottsass ( si giocava molto tra i due nomi: Achille ed Ettore…). Ci sono tanti oggetti catturati durante i suoi viaggi che sono riposti ma “a vista”, “ognuno con un’intelligenza da succhiare”, direbbe lui.
Poi ad un tratto appaiono le sue opere, come fossero tanti personaggi: le lampade Taraxa*****, ispirata agli esperimenti di George Nelson negli anni 50; Toio in cui la fonte luminosa è un fanale d’auto da 300- watt; Taccia , versione capovolta di una lampada da soffitto; Snoopy; Parentesi; Gibigiana; Arco, nata osservando un lampione per strada… lo sgabello Mezzadro che sfrutta il sedile e la barra di un trattore; la seduta Sella, rotante su di un perno…ed ancora il modello del divano Hilly che prende spunto dalla collina; le diverse forme da budino che Castiglioni sottrasse alla moglie per trovare quella che sagomasse il cappello Borsalino, in feltro di pelo di coniglio…e tanti e tanti altri…il posacenere Spirale costituito da una ciotola in acciaio con una molla estraibile…
Sono tutti progetti eseguiti per la comunità, lavoro diverso da quello dell’artista che offre le sue creazioni a piccoli gruppi.
Visitando lo studio, ammirando gli oggetti al suo interno, ad un certo punto ho pensato che probabilmente ci sia rimasto poco da inventare. Forse siamo in troppi a volere questo mestiere: i giovani per l’entusiasmo di fare e di dimostrare, i meno giovani per paura che la loro importanza venga ridotta dal tempo che incalza…
A questo punto la “tranquillità” vacilla…
Oggi la società in cui ci troviamo non è quella dell’Italia degli anni ’50 e ’60.
C’è crisi, la gente non ha soldi; l’economia gira lentamente; non si tenta la “ricostruzione” come nel secondo dopoguerra.
Le grosse aziende sono costrette a fare dei tagli e se devono scommettere, preferiscono farlo con nomi già consolidati dagli anni e dall’esperienza. I giovani designers, con parcelle “da fame”, restano nell’anonimato e difficilmente, a meno che non ci sia un grosso talento, viene accolto il rischio della novità…( spesso si vedono progetti di aziende diverse assolutamente analoghi! ).
La creatività viene meno, vivendo all’ombra del minaccioso ricatto economico, ora più che mai!
Così nella perdita dell’armonia generale c’è sicuramente un abbrutimento di tutti i rapporti umani e sociali: il “buonismo” (…Sono buono! Però ti aiuto dopo, dopo… ); lo sfruttamento degli entusiasmi giovanili; l’egoismo; la superficialità di chi possiede; la carenza di affezione: i cosiddetti “analfabeti delle emozioni”; l’indifferenza; l’allontanamento dalla cultura che per molti non da “da mangiare” e così via…
La maggior parte dei giovani professionisti sono diventati “i nuovi poveri!”
Da qui a breve il classico “ceto medio” non esisterà più completamente.
Non è un mero passaggio.
“Per progettare bisogna osservare”
Osservare, significa anche continuare a studiare, a leggere, a cercare dei nessi tra cose apparentemente diverse.
Non demordere comunque sia.
“Una testa” mantiene sempre una marcia in più, fosse anche per costruirsi quella Ironia di chi finge di non conoscere per scrutare la reazione degli altri ( qualche volta spassandosela come un matto ) …
Così, proviamo a saltare da un treno all’altro sul binario parallelo dell’ironia, quello della letteratura di Saramago.
Josè Saramago è sicuramente uno dei più grandi maestri della letteratura, anche lui è a livello internazionale.
Ha scritto poesie (…“I poemi possibili”, “Probabilmente allegria” …), romanzi (…“Terra do pecado”, “il Vangelo secondo Gesù Cristo”, “Cecità”, “L’uomo duplicato”, “Saggio sulla lucidità”, ”Le intermittenze della morte”…), per il teatro (… “La notte”, “Don Giovanni, o Il dissoluto assoluto”…) ed altro (… “Andrea Mantenga. Un’ etica, un’ estetica”, “Scolpire il verso”…).
Anche lui è un attento critico dei comportamenti umani. Molti dei suoi scritti migliori sono sicuramente ironici ed allegorici. Alcune delle sue più celebrali opere come “Cecità” o “Le intermittenze della morte” danno luogo alla “Scrittura orale”, libera dagli schemi della “Scrittura normale”. Saramago utilizza lunghi paragrafi in cui vengono omessi i punti, sostituiti dalle virgole, ed i periodi sono estesi ad intere pagine. È come se lo scrittore riportasse ciò che gli è stato a sua volta raccontato.
In questi romanzi citati mancano le coordinate geografiche e temporali ed i personaggi non hanno un nome. Gli esseri umani perdono la loro individualità e forse la conquistano all’interno del racconto.
In questi romanzi citati mancano le coordinate geografiche e temporali ed i personaggi non hanno un nome. Gli esseri umani perdono la loro individualità e forse la conquistano all’interno del racconto.
Grande ironia, da parte dell’autore nei confronti della spietata crudeltà insita nei meccanismi della società.
Un sorriso sarcastico ed acuto si svela metaforicamente…
In un intervento svoltosi presso l’Università Roma Tre nel 2003, Saramago affermò :
” Oggi la vera funzione del romanzo non è più solo quella descrittiva, quanto soprattutto quella riflessiva: a poco a poco il romanzo dovrà aprirsi alla filosofia e alla scienza, diventare la summa delle diverse esperienze umane, e questo nuovo tipo di romanzo – una sorta di simbiosi tra romanzo e saggio – ricorrerà all’allegoria.
Ed ancora :
“(…) Certe parole, in parte a causa dell’abuso che ne è stato fatto, hanno bisogno di essere reinventate perché ormai prive di senso (…)”
Saramago osserva e reinventa; utilizza i suoi strumenti con occhio nuovo, un po’ come Castiglioni…Con la sua ironia stimola le nostre reazioni…
In “Cecità” ( 1995 ), in una città qualunque, di un qualunque paese, scoppia una sorta di epidemia: gli uomini, avvolti da un candore bianco, andranno perdendo la vista diventando ciechi. I primi verranno chiusi in un ex manicomio, ma poi scappando da reclusi scopriranno che tutto il mondo è stato colto dal “mal bianco”.
Attraverso gli occhi dei ciechi e di quelli ancora vedenti della moglie di un medico, che accompagna il marito vittima dell’epidemia, Sarago non risparmia la denuncia della sopraffazione, dell’ipocrisia di chi è al comando, dell’indifferenza e del ricatto.
Riporto alcune parti:
“(…) Poverina, Poverini i tuoi genitori, poverina te, quando vi incontrerete, ciechi negli occhi e ciechi nei sentimenti, perché i sentimenti con i quali abbiamo vissuto e che ci hanno fatto vivere come eravamo sono nati perché avevamo gli occhi, senza di essi i sentimenti si trasformeranno (…)
(…) Strada facendo verso la casa della ragazza dagli occhiali scuri attraversarono una grande piazza dove c’erano gruppi di ciechi intenti ad ascoltare i discorsi di altri ciechi, a prima vista né questi né quelli lo sembravano, chi parlava volgeva infervorato la faccia verso chi ascoltava, chi ascoltava volgeva attento la faccia verso chi parlava. Si proclamavano la fine del mondo, la salvezza penitenziale, la visione del settimo giorno, l’avvento dell’angelo, la collisione cosmica, l’estinzione del sole, lo spirito tribale, l’umore della mandragora, l’unguento della tigre, la virtù del segno, la disciplina del vento, il profumo della luna, la rivendicazione della tenebra, il potere dello scongiuro, l’impronta del calcagno, la crocifissione della rosa, la Purezza della linfa, il sangue del gatto nero, il sopore dell’ombra, la rivolta delle maree, la logica dell’antropofagia, la castrazione indolore, il tatuaggio divino, la cecità volontaria, il pensiero convesso, quello concavo, quello piano, quello verticale, quello concentrato, quello disperso, quello sfuggito, l’ablazione delle corde vocali, la morte della parola. Qui non c’è nessuno che parli di organizzazione, disse la moglie del medico al marito, Forse è in un’altra piazza, rispose lui. Continuarono a camminare. Poco più avanti la moglie del medico disse, Ci sono più morti del solito per la strada, Perché la nostra resistenza si sta esaurendo, il tempo si conclude, l’acqua si esaurisce, le malattie aumentano, il cibo si trasforma in veleno, lo hai detto tu stessa, ricordò il medico, Chissà se fra questi morti non ci saranno i miei genitori, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e io, magari, passo accanto a loro e non li vedo, E una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli, disse la moglie del medico (…)”
In “Le intermittenze della morte” (2005) ancora in una città qualunque, di un paese qualunque, in cui i protagonisti continueranno a non avere un nome, alla mezzanotte del 31 di Dicembre scatta l’eternità.
(…)“Dove si andrebbe a finire se tutti passassimo a vivere eternamente, sì, dove si andrebbe a finire, domanderà l’accusa usando tutta la sua più bassa retorica, e la difesa, superfluo aggiungerlo, non ha avuto la presenza di spirito per trovare una risposta all’altezza della situazione, neanche lei aveva la minima idea di dove si sarebbe andati a finire (…)
La morte decide di scioperare. Tutto il sistema entra in crisi: Il governo, le agenzie di assicurazione, quelle di pompe funebri, la Chiesa ( come esisterà la Resurrezione senza la morte? ); anche il potere della malavita organizzata, quello della mafia o maphia” è in difficoltà. Finché dopo sette mesi di inattività la Morte decide di rientrare in azione inviando, ad i rispettivi destinatari, delle missive con il loro nefasto contenuto. Di queste, però, una tornerà indietro per ben tre volte: sarà quella destinata ad un violoncellista che la morte stessa deciderà di andare a trovare nelle fattezze di donna e sentendolo suonare accadrà l’impossibile:
(…) Entrarono nella camera, si spogliarono e quel che era scritto che sarebbe accaduto, infine accadde, e un’altra volta, e un’altra ancora (…) Il giorno seguente non morì nessuno.
Saramago ci spingerà ancora una volta, sorridendo ironicamente, a trovare una logica nel paradosso…
Vorrei continuare a scrivere… ma il percorso si conclude qui, i binari convergono:
<< Ultima fermata: IRONIA, IRONIA! >>.
Scendo, cercherò di rimanere “tranquilla”, chissà se questo viaggio sarà servito…
Mi rituffo nella società, sarà un po’ dura:
“Trovarsi d’accordo non sempre significa condividere una ragione, la cosa più abituale è che un gruppo di persone si riuniscano all’ombra di un opinione come se fosse un parapioggia.” ( da “L’uomo duplicato” – Saramago 2002)…
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Maria Stella Ivana Riggi (Maggio 1972), architetto vive e lavora in Sicilia precisamente a Caltanissetta dove attualmente risiede.
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