I FUORI CONCORSO DEL ROMA FILM FEST 2008
8 (Huit), in anteprima mondiale, un film che è anche un grande progetto di sensibilizzazione sulla sfida (sottoscritta da 191 paesi) che le Nazioni Unite hanno lanciato perché si dimezzi la povertà nel mondo. Il film è diviso in otto segmenti, firmati rispettivamente da Jane Campion, Gael García Bernal, Jan Kounen, Mira Nair, Gaspar Noé, Abderrahmane Sissako, Gus Van Sant e Wim Wenders ma, ora… è proprio l’ O.N.U. a boicottare il film che avrebbe dovuto ricordare ai governi di tutto il mondo che ci sono otto obiettivi che devono essere perseguiti e raggiunti entro il 2015 per aiutare non solo i paesi più poveri, ma anche quelli più industrializzati. E’ scoppiata, invece, la polemica e la stessa O.N.U ha tolto il proprio patrocinio al film Eight, proiettato al Festival del cinema di Roma, forse dimenticando . . .
. . . QUEI QUATTRO SECONDI SUFFICIENTI PER MORIRE DI FAME
di Mariangiola Castrovilli
E’ forse uno dei film più interessanti di questa kermesse romana. 8 registi di chiara fama accomunati dalla stessa passione per un certo tipo di cinema, ognuno coinvolto con il proprio contributo per illustrare gli otto “obbiettivi del millennio” solennemente sanciti da Kofi Annan alle Nazioni Unite nel 2000, quando 189 capi di stato s’impegnarono nella sfida che nel 2015 avrebbe dovuto ridurre notevolmente la fame sul pianeta con otto risoluzioni d’importanza vitale.
Peccato però che questi otto punti ad otto anni di distanza, siano destinati a svanire nell’aria. Peccato perchè indispensabili per rallentare l’emorragia delle morti per povertà estrema e per fame ogni 4 secondi, per garantire l’istruzione dell’obbligo universale, promuovere l’eguaglianza fra i sessi e conferire potere e responsabilità alle donne, diminuire la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l’AIDS, la malaria ed altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo.
Otto obiettivi da far tremare le vene e i polsi, che l’ONU, con il suo logo costituzionale aveva affidato a registi come Abderrahmane Sissako, Gael Garcia Bernal, Mira Nair, Gus Van Sant, Jan Konen, Gaspar Noe, Jane Campion, Wim Wenders. Aveva, perché adesso sono proprio le Nazioni Unite a boicottare il film come spiegano i produttori Marc Oberon e Lissandra Haulica infatti «il patto era quello di dare carta bianca ai registi ma dopo aver visto i primo episodio, quello di Mira Nair, How can it be l’hanno rifiutato giudicandolo offensivo per l’Islam. Anzi, hanno fatto di più ci hanno chiesto di eliminarlo, pena il ritiro del logo. E non contenti si sono messi a contattare i Festival per impedire che ci invitassero. Per noi però otto erano gli obbiettivi ed otto i registi con cui avevamo costruito questo lavoro, per cui abbiamo rinunciato al loro patrocinio».
Abbiamo incontrato qui al Festival i produttori e gli otto registi, venuti alcuni da molto lontano solo per questa prima mondiale per poi ripartire subito dopo la presentazione. Come vi dicevamo il film è veramente superbo, un piccolo gioiello che e vale la pena di vedere perché pur toccando argomenti dolorosi non scade mai nel sentimentalismo ed è realizzato con grande maestria e genialità. Nell’episodio della Nair, dedicato alle pari opportunità la regista racconta di una donna musulmana sposata che vive a New York e che, innamoratasi di un altro, decide di lasciare pur con grande dolore marito e figlio in nome di una sua integrità personale.
Per nulla turbata Nair ha spiegato che non ha inventato niente, «Si tratta infatti di una storia vera, magari discutibile, ma sintomo inequivocabile che oggi sotto il velo ci sono anche i diritti. Ho cercato di parlare con l’unica funzionaria dell’Onu che l’ha giudicato inopportuno per capire cosa l’avesse turbata, ma ha rifiutato il dialogo».
segue … >>>
8 (Huit), in anteprima mondiale, un film che è anche un grande progetto di sensibilizzazione sulla sfida (sottoscritta da 191 paesi) che le Nazioni Unite hanno lanciato perché si dimezzi la povertà nel mondo. Il film è diviso in otto segmenti, firmati rispettivamente da Jane Campion, Gael García Bernal, Jan Kounen, Mira Nair, Gaspar Noé, Abderrahmane Sissako, Gus Van Sant e Wim Wenders ma, ora… è proprio l’ O.N.U. a boicottare il film che avrebbe dovuto ricordare ai governi di tutto il mondo che ci sono otto obiettivi che devono essere perseguiti e raggiunti entro il 2015 per aiutare non solo i paesi più poveri, ma anche quelli più industrializzati. E’ scoppiata, invece, la polemica e la stessa O.N.U ha tolto il proprio patrocinio al film Eight, proiettato al Festival del cinema di Roma, forse dimenticando . . .
. . . QUEI QUATTRO SECONDI SUFFICIENTI PER MORIRE DI FAME
di Mariangiola Castrovilli
E’ forse uno dei film più interessanti di questa kermesse romana. 8 registi di chiara fama accomunati dalla stessa passione per un certo tipo di cinema, ognuno coinvolto con il proprio contributo per illustrare gli otto “obbiettivi del millennio” solennemente sanciti da Kofi Annan alle Nazioni Unite nel 2000, quando 189 capi di stato s’impegnarono nella sfida che nel 2015 avrebbe dovuto ridurre notevolmente la fame sul pianeta con otto risoluzioni d’importanza vitale.
Peccato però che questi otto punti ad otto anni di distanza, siano destinati a svanire nell’aria. Peccato perchè indispensabili per rallentare l’emorragia delle morti per povertà estrema e per fame ogni 4 secondi, per garantire l’istruzione dell’obbligo universale, promuovere l’eguaglianza fra i sessi e conferire potere e responsabilità alle donne, diminuire la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l’AIDS, la malaria ed altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo.
Otto obiettivi da far tremare le vene e i polsi, che l’ONU, con il suo logo costituzionale aveva affidato a registi come Abderrahmane Sissako, Gael Garcia Bernal, Mira Nair, Gus Van Sant, Jan Konen, Gaspar Noe, Jane Campion, Wim Wenders. Aveva, perché adesso sono proprio le Nazioni Unite a boicottare il film come spiegano i produttori Marc Oberon e Lissandra Haulica infatti «il patto era quello di dare carta bianca ai registi ma dopo aver visto i primo episodio, quello di Mira Nair, How can it be l’hanno rifiutato giudicandolo offensivo per l’Islam. Anzi, hanno fatto di più ci hanno chiesto di eliminarlo, pena il ritiro del logo. E non contenti si sono messi a contattare i Festival per impedire che ci invitassero. Per noi però otto erano gli obbiettivi ed otto i registi con cui avevamo costruito questo lavoro, per cui abbiamo rinunciato al loro patrocinio».
Abbiamo incontrato qui al Festival i produttori e gli otto registi, venuti alcuni da molto lontano solo per questa prima mondiale per poi ripartire subito dopo la presentazione. Come vi dicevamo il film è veramente superbo, un piccolo gioiello che e vale la pena di vedere perché pur toccando argomenti dolorosi non scade mai nel sentimentalismo ed è realizzato con grande maestria e genialità. Nell’episodio della Nair, dedicato alle pari opportunità la regista racconta di una donna musulmana sposata che vive a New York e che, innamoratasi di un altro, decide di lasciare pur con grande dolore marito e figlio in nome di una sua integrità personale.
Per nulla turbata Nair ha spiegato che non ha inventato niente, «Si tratta infatti di una storia vera, magari discutibile, ma sintomo inequivocabile che oggi sotto il velo ci sono anche i diritti. Ho cercato di parlare con l’unica funzionaria dell’Onu che l’ha giudicato inopportuno per capire cosa l’avesse turbata, ma ha rifiutato il dialogo».
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Come vi dicevamo il film è veramente superbo, un piccolo gioiello che vale la pena di vedere perché pur toccando argomenti dolorosi e che non lasciano insensibili, è realizzato con grande maestria e genialità. Tutti belli gli episodi, anzi bellissimi come quello di Wim Wenders che ha scatenato gli applausi più entusiastici della platea, con l’invasione di ologrammi di persone, sempre le stesse ed ormai svuotate di ogni interesse in uno studio televisivo che decide la messa in onda a seconda dell’appeal, senza badare alla sostanza, mostrando invece come potrebbe essere una corretta informazione se africani, indiani o campesinos affetti da una fame endemica potessero dire la loro, mentre il Premio Nobel Muhammad Yunus, racconta il vero miracolo del microcredito, l’unico che già da qualche tempo sembra funzionare, soprattutto in momenti di crisi nera come quella di oggi.
«Un film non cambia il mondo» ha sottolineato Wenders, «ma può aiutare, perché la soluzione di questi problemi non è nelle nostre mani ma in quelle dei nostri governi. Noi possiamo solo sollecitare le promesse. Questo è un film che chiede al pubblico di agire» ha poi concluso Wenders, «tra le tante terribili realtà il mio episodio si chiude con una buona notizia, il successo del microcredito tra i più poveri, soprattutto tra le donne. Che sono sempre più affidabili degli uomini».