LA LETTERA DI FRANCO IOSA: “…Non ho mai visto o sentito abbastanza”
(Gicar) – «Ad majora semper», questo è il suo motto. Franco Iosa, 65 anni, è la terza volta consecutiva che partecipa alle spedizioni scientifiche “Sulle Orme del Grande Squalo Bianco” del Prof. Primo Micarelli e quest’anno è anche il fotografo ufficiale del Viaggio di Studio. Non più giovanissimo, per certi aspetti, soprattutto nei confronti dei componenti più piccoli, il “papà” dell’equipe, ha voluto cogliere l’occasione di questa VII missione per dedicare qualche giorno in più alla sua visita del Sud Africa. E proprio per questa ragione è partito da Venezia il 15 Aprile scorso con volo Emirates con qualche giorno di anticipo rispetto al resto del gruppo. Al Saxon Lodge con Saretta (Sara Andreotti) e Mike Rutzen era lì ad accogliere e, allo stesso tempo, unirsi al Big Team che è arrivato a Gansbaai domenica 18. Il 25 Aprile, data di partenza dell’Equipe 2010 per ritornare in Italia, farà parte, invece, del farewell committee e prolungherà così la permanenza fino al 3 Maggio per far rientro nella sua Venezia il giorno successivo.
Il suo grande desiderio è fotografare “Cape Agulhas” la punta più meridionale del continente Sud Africano. Fotografare Cape Town dalla cima di Table Mountain, fotografare le grandi Razze. E poi? «Nessun programma definitivo» afferma Franco Iosa. «Sarà un’avventura da vivere giorno per giorno decidendo in base alle condizioni meteo, alla disponibilità di mezzi e magari anche a quella di Saretta di farmi da guida. Laddove possibile manderò mie notizie e foto da aggiungere in coda al diario di bordo della missione». E’ la promessa che fa ad Oltrepensiero.it anche se va puntualizzato, comunque, che il motivo fondamentale del suo viaggio è assolutamente la “Missione” («non c’è termine più adatto che possa esprimere l’esatto significato di questo Viaggio di Studi» sottolinea Iosa), dove, anche aiutato da una buona dose di fortuna, spera di produrre un supporto fotografico di ottima qualità.
Lo abbiamo sentito per telefono qualche giorno prima che partisse e gli abbiamo chiesto di spiegarci meglio il perché di questo suo terzo viaggio consecutivo in SudAfrica. «E’ una domanda alla quale non si può rispondere su due piedi, che non può essere liquidata nel breve spazio di un colloquio telefonico» puntualizza. «Vi scriverò una lettera».
E la missiva è arrivata, come fosse un messaggio in bottiglia.
E’ una lunga conversazione con se stesso riflettendo come in uno specchio quella domanda che gli avevamo posto e allo stesso tempo parlando a tutti. Ne esce uno spaccato della sua personalità, ma anche dell’ambiente sudafricano, delle sensazioni che si provano soprattutto quando si è a contatto con lo Squalo Bianco e dei problemi legati alla sua salvaguardia ed al suo rispetto cercando di sfatare luoghi comuni e far breccia nella scarsa sensibilità di noi tutti.
Ve la proponiamo, nella pagina che segue, in versione integrale anche perché da l’esatta misura di questa spedizione, o meglio “Missione” come direbbe Franco Iosa, al di là delle ricerche sul campo e dei risultati scientifici, anch’essi ovviamente importanti, nella felice formula di questo Viaggio di Studio che unisce professori universitari e studenti, subacquei e semplici appassionati…con una carica umanitaria ed una passione senza uguali.
(Franco Iosa) – «Mi chiedi perché per la terza volta in Sud Africa. Laggiù a Gansbaai in un piccolo paese di pescatori, posto a sud, in una delle punte estreme del grande continente. Cosa ti attrae così tanto da affrontare un viaggio lunghissimo, ore ed ore di aeroplano, attese nei terminal, trafile di controlli, lunghi tragitti in macchia e bagagli da trascinare da una parte all’altra. Dici che non è una vacanza, è un viaggio studio. Ma tu non sei un biologo che fa ricerca o uno studente che deve mettere quanto più possibile nel suo bagaglio di conoscenza ed esperienze. Dimmi, è solamente una curiosità? Non sei rimasto soddisfatto delle precedenti esperienze? Non hai sentito abbastanza nelle lunghe ore di conferenze? Non hai ancora capito che cos’è il Grande Squalo Bianco? Sai che ti dico amico mio: non se ne ha mai abbastanza di assistere a lezioni e conferenze dedicate esclusivamente al Grande Squalo Bianco. Non sono mai sazio delle parole dette e delle immagini proiettate in un piccolo schermo, dove ogni cosa appare ingigantita. Le conferenze di Primo Micarelli, di Sara Andreotti e di Emilio Sperone, non sono mai le stesse, ogni volta sono più ricche di particolari, dove cogli anche le parole che precedentemente erano sfuggite. Non di meno le conferenze e le esperienze dirette di Michael Rutzen che con il suo carisma, quasi fosse dotato di un potente magnetismo, cattura la totale attenzione di qualsiasi audience. Sai che ti dico amico mio, “non è mai abbastanza”.
E’ solo questo?
No, non è solo questo. Tutto comincia alle primissime luci dell’alba, quando infocati raggi spuntando dall’orizzonte dei due oceani, l’Atlantico e l’Indiano, impongono alla notte di far posto al nuovo sorgere del sole. E mentre aspetto l’apparire del grande cerchio rosso aspiro profondamente l’aria fresca del mattino pregna di salsedine. Il silenzio della notte viene rotto dalle grida dei gabbiani e delle sule che salutano l’imminenza del nuovo giorno. Uno ad uno i compagni di avventura silenziosamente si avvicinano, anche loro vogliono vivere il grande evento. Il chiarore aumenta ed ecco il rinnovo della magia. Lontanissimo un cerchio piccolo e rosso, che sembra sbucare dall’oceano, disegna una lunga striscia luminosa sulla vasta superficie d’acqua leggermente increspata. Vorrei fermare questo momento perché so con quale velocità il piccolo arco diventerà una grande sfera infuocata, sulla quale non potrò fissare il mio sguardo. Ti sembra poco? quante volte hai potuto assistere a questo grande evento, vedere i raggi del sole passare tra nuvole sparse ed irradiarsi nel cielo, spostare le ombre della notte per far posto alla luce. Raramente credo. I profili delle case, dei palazzoni dei rumori della grande città, dell’aria stagna delle polveri e dei gas di scarico non ti consentono di godere appieno il Grande Evento “Il nuovo Giorno”. Così cominciano le giornate a Gansbaai.
Con il team al completo salgo a bordo del Barracuda, l’imbarcazione che mi porterà sul viale degli squali, una fascia di corrente in mezzo all’oceano che passa tra due isole. L’una abitata da cormorani e pinguini, l’altra popolata esclusivamente dalle otarie, dette anche foche del capo. È in quel viale, invisibile agli occhi inesperti, che gli squali incrociano le loro prede.
Appena salgo a bordo il lieve ondeggiare dell’imbarcazione mi anticipa le emozioni, mi fa pregustare il forte beccheggio che dovrò affrontare per uscire dal piccolo porticciolo di Kleinbaai. Due potenti motori spingono il motoscafo lungo un piccolo canale scavato nel duro fondale roccioso. Il Barracuda taglia di traverso le onde che prepotenti si frangono sulle rocce emergenti vicinissime alle fiancate. Pilotato con maestria da “Mike” Rutzen, lo scafo si impenna per poi ricadere, con un grande tonfo, pronto ad affrontare con decisione l’onda successiva. Superata la bocca del canale i motori vengono portati alla massima potenza ed in aperto oceano la prua taglia l’onda lunga sollevando intensi spruzzi che mi colgono di sorpresa ed il sapore della salsedine sulle labbra mi fa pregustare ciò che mi aspetta nella “shark alley”.
Alla fonda tutto avviene rapidamente, intento a vivere tutte le operazioni di bordo, non mi accorgo del nuovo silenzio che sovrasta l’oceano, non più spinto dai motori il Barracuda è alla mercé delle onde, il beccheggio ed il rollio diventano parte di me. Le narici vengono colpite dall’odore pungente del “chum” che viene versato in mare. Una mistura di sangue, frammenti di pesce lasciato macerare e grassi che lasciano striature oleose sulla superficie dell’acqua. Trasportato dalla corrente, questa brodaglia traccia una lunga scia “odorosa” che serve per attirare gli squali verso l’esca. Immagino che per loro sia come per me quando l’aria mi porta il “profumo” di una grigliata fatta all’aperto in qualche giardino nelle vicinanze e mi stimola la voglia di partecipare al banchetto.
Pronto, con la muta indossata comincio la paziente attesa. Ogni volta che il marinaio butta in acqua il chum i gabbiani del capo, che gridando volteggiando sopra le nostre teste, acrobaticamente si tuffano e si contendono piccoli resti di pesce. Pochi centimetri sotto la superficie miriadi di pesciolini aspettano quel che per loro è un lauto pasto. Dalla vicina a Dyer Island centinaia e centinaia di cormorani si levano in volo ed in grandi formazioni, passando a prua come a poppa, a babordo come a tribordo, sfiorando la cima delle onde si dirigono verso lontane zone di pesca, rimarranno in mezzo all’oceano per tutto il giorno e torneranno solo a sera con il gozzo pieno per sfamare i pulcini lasciati sull’isola. Piccole ombre passano vicine allo scafo, emergono per respirare e guardano incuriosite, sono le Otarie del Capo, che dopo la battuta di pesca notturna, ritornano al loro isolotto roccioso, dove i piccoli aspettano la loro razione di latte. Sono certamente molto esperte, sembra che sappiano che sta per arrivare un’ospite con il quale non possono condividere lo stesso spazio. Rapidamente come sono apparse si tuffano tra i flutti e scompaiono. Mimetizzate con il contrasto del fondale nuoteranno fino alla loro Geyser Rock per riunirsi alle migliaia di compagne che rumorosamente danno vita all’isolotto. E dove i maschi dominati con assordanti grida delimitano il territorio e tengono sotto controllo il loro harem.
La gabbia di sicurezza è saldamente assicurata fuori bordo, il primo avviso viene dato dal marinaio che controlla l’esca. I suoi occhiali con le lenti polarizzate e la sua esperienza gli permettono di vedere, molto prima di me, l’ombra scura del grande squalo che si sta avvicinando. Guardo, e riguardo nella direzione indicata e non vedo nulla, mi sento imbranato e frustrato, poi ecco la grande pinna dorsale che fende la superficie dell’acqua senza farla increspare. É lui il Grande Squalo Bianco. Si avvicina lentamente, tutti i suoi sensi finissimi sono stimolati, è cauto, ispeziona attentamente lo scenario che gli si presenta davanti, percepisce che questa è l’origine della scia odorosa che lo ha attirato. Ora deve capire, passa vicinissimo all’esca ma non si avventa su di essa come mi aspettavo. La sua circospezione mi lascia perplesso, in quel momento capisco che non e quell’animale vorace senza cervello che si avventa su qualsiasi cosa si muova o fluttui nell’acqua.
Scendo dentro quella gabbia che da assoluta sicurezza. Stoicamente affronto l’acqua freddissima, tra i 12 e 15 gradi. Non posso fare a meno di soddisfare la curiosità che mi pervade. Vedere, nel suo ambiente, questo enorme pesce muoversi con grazia e maestosità è un’estasi. Piccoli movimenti della sua grande pinna caudale danno una forza propulsiva che lo fanno avanzare senza sforzo apparente. Le pinne laterali sembrano ali di un caccia militare, che, in combinazione con la pinna dorsale, gli permettono virate acrobatiche. La bocca leggermente aperta lascia intravvedere file di bianchi denti affilatissimi, litri e litri d’acqua passano attraverso le branchie fornendo tutto l’ossigeno necessario a questa “Macchina meravigliosa”. Affascinato, rimango in apnea più a lungo possibile, non voglio perdere nemmeno un secondo di questa visione. Lui si avvicina alla gabbia, nel suo passaggio mi scruta e sembra dirmi: “Che fai qua, non è il tuo ambiente, questo è il mio dominio. Ti chiedo solo di rispettarlo. Non inquinarlo, io sono qui per mantenere un sano equilibrio dell’ecosistema marino. Devo farlo con i mezzi affinati in migliaia d’anni di evoluzione. Non vado oltre il mio compito nella selezione delle prede”. Una volta fuori dalla gabbia, appoggiato alla murata con la macchina fotografica, scatto sequenze di fotogrammi che serviranno poi ai biologi come mezzo identificativo dei vari avvistamenti. Fotografo la sua reazione quando gli viene offerto un trancio di pesce o una sagoma di otaria. Un complemento alle videoriprese fatte per studiare il comportamento in superficie del grande Carcharodon Carcharias.
Ammiro le sue evoluzioni quando cerca di azzannare l’esca che gli viene sottratta, sono impressionato nel vedere con quale agilità, questo pesce di oltre 4 Mt., compie una stretta virata di 180° per tornare sull’esca che gli era sfuggita. Percepisco la sua grande forza quando azzanna il trancio di tonno e con denti affilatissimi taglia la sagola che tratteneva il ghiotto boccone. L’insieme delle conferenze, delle lezioni di biologia marina e dell’osservazione diretta, rafforzano il mio convincimento che è imperativo fare qualche cosa, qualsiasi cosa utile per instillare nella mente delle persone, l’assoluta necessità di salvaguardare l’ambiente marino nel suo complesso. Cominciando proprio dai predatori all’apice della catena alimentare. Con le appropriate cognizioni, anche il solo contraddire le errate informazioni, diffuse con vari mezzi, è utile alla causa per la salvaguardia di tutte quelle specie che oggi sono a rischio di estinzione e prevenire che altre raggiungano questo status. Sai che ti dico amico mio, per saziare la mia curiosità ed arricchire la mia conoscenza, “non ho mai visto o sentito abbastanza”.
Ed ora parto e vi saluto, con sincera amicizia Iosa Franco.»
FRANCO IOSA
{morfeo 39}