Incontro con il “regista-jazz” Pupi Avati: il lato umano del grande professionista
(Marco Carra) – Domenica 29 agosto, nella città di Viterbo, si è svolta l’ultima serata della quarta edizione del JazzUp Festival che, come tradizione, è stata organizzata in collaborazione con l’Est Film Festival di Montefiascone.
Protagonista dell’incontro è stato il regista Pupi Avati che ha raccontato un po’ di se attraverso le sequenze di alcuni suoi film e le reinterpretazioni in chiave jazz di musiche tratte dalle stesse, eseguite con estrema maestria dal duo Alessandro Bravo (pianoforte) e Aldo Bassi (tromba).
Il dibattito, moderato dalla direzione artistica dell’Est Film Festival (Glauco Almonte e Riccardo Rizzo), ha fatto emergere, più che il lato professionale, che tutti conosciamo, il lato umano del grande regista italiano.
Pupi Avati ha voluto raccontare la sua vita attraverso il cinema e la musica e, il ritratto che ne è emerso, è stato quello di un uomo come tanti, che ha cercato di inseguire il suo sogno, quello di suonare il jazz, ma quando si è reso conto di non poterlo realizzare, ha capito che non era finita, ma che semplicemente, quello, era il sogno sbagliato.
A proposito di questo ha voluto focalizzare l’attenzione sul concetto di talento. Secondo Avati ogni persona ha un talento, che consiste nell’unico modo che un individuo ha per far si che gli altri sappiano realmente chi è, quindi la cosa più importante è coltivare ciò che di più ci affascina, qualsiasi cosa essa sia. Se ciò non avviene, secondo il regista, è come se ci si rassegnasse al ruolo di spettatore nello spettacolo della vita. «Se questo messaggio verrà recepito da almeno uno dei presenti» così ha terminato il suo intervento in proposito «allora potrò tornare a casa soddisfatto. Fate tesoro di questo, avrei dato tanto perché qualcuno me l’avesse detto. Molte persone oggi, purtroppo si limitano a svolgere un lavoro che odiano non vedendo l’ora che arrivi l’età della pensione». «Io non voglio la pensione» ha risposto ad uno dei moderatori che aveva fatto una battuta in proposito al fatto che, se l’età pensionabile continuerà ad aumentare, nessuno potrà arrivarci «la pensione corrisponde a smettere di esprimere il talento, ed io non voglio essere tacitato».
Il mattatore della serata, che con le sue battute ha voluto smorzare l’atmosfera da occasione formale che si era creata, ha poi dato largo spazio a simpatici aneddoti riguardanti la sua vita. Ha raccontato di come il suo approccio al jazz fosse molto competitivo, voleva essere «quello che suonava meglio» ma alla fine si trovava spesso ad «essere quello che suonava peggio». Questo suo spirito di competizione portò Avati, per sua ammissione, a tentare di far precipitare il suo ormai amico Lucio Dalla, all’epoca clarinettista più talentuoso lui, dalla Sagrada Familia di Barcellona. Questo suo rapporto con Dalla viene descritto dal regista stesso nella pellicola del 2005 “Ma quando arrivano le ragazze ?” interpretato da Claudio Santamaria e Paolo Briguglia.
Il rapporto del regista con il jazz, tuttavia, non è sempre stato così. Prima di essere catturato dalla musica, venne catturato, insieme a dei suoi amici, dal look del jazzista che rese loro possibile farsi notare dalle ragazze più carine di Bologna. Solo in seguito si appassionò alla musica e con i suoi compagni formò la Criminal Jazz Band.
Pupi Avati ha infine concluso l’intervista spiegando la sua passione per il cinema lasciandosi andare in una confessione.
«Da giovane c’era una ragazza dalla quale ero estremamente affascinato, ma lei non voleva saperne di uscire con me. Un giorno arrivò al teatro di Bologna il Modern Jazz Quartet ed io, dopo aver preso i biglietti per due poltrone, la invitai ad uscire. Lei, finalmente, accettò, ma oltre ad essere stata fredda per tutta la serata, quando la riaccompagnai a casa e tentai di baciarla lei si rifiutò. Questa sequenza l’ho messa anche in un mio film, però, alla fine, lei lo bacia… E’ per questo che faccio cinema».