CONCORDIA – REPORTAGE, FOTOGRAFIE E CONSIDERAZIONI A MARGINE DI UN NAUFRAGIO

CONCORDIA – REPORTAGE, FOTOGRAFIE E CONSIDERAZIONI A MARGINE DI UN NAUFRAGIO

Il Commento di Gicar
TURISMO DEL TERRORE E FOLLIE GIORNALISTICHE
di Giulio Carra – direttore Oltrepensiero.it

Piuttosto curiosa, per usare un eufemismo, l’esperienza della nostra capo-redattrice Annamaria Pirozzi appositamente inviata all’Isola del Giglio per adempiere al sacrosanto diritto/dovere di informare da parte di una testata giornalistica. Un incarico affidatole non per andare a svelare segreti o cercare di risolvere misteri legati al tragico naufragio della Concordia e tanto meno per affondare il coltello accusatore nelle tante ferite di questa storia. Avrebbe dovuto registrare soltanto (fotografie comprese), come è stato, potrete leggere e vedere, cosa stesse accadendo, passata l’emergenza dei primi giorni, su una piccola isola del Tirreno spesso dimenticata da Dio e dagli uomini. Nonostante fosse munita di accredito da parte del nostro giornale anche lei è stata, a sua insaputa, risucchiata da una di quelle operazioni di macelleria che a volte sanno ordire (sic !), con molta demente sapienza, gli organi di informazione coadiuvati da giornalisti che a tutti i costi vogliono far passare per vero anche l’indimostrabile. E così la nostra redattrice si è trovata sbattuta con una videointervista, debitamente tagliata, in una nota trasmissione televisiva del servizio pubblico come una degli emblematici esempi del “Turismo del terrore”. Follia a parte, il fatto che ci riguarda da vicino, in ogni caso, può considerarsi una cartina di tornasole per come si possa uscire frantumati da processi esclusivamente mediatici, sapientemente guidati oltre e al di là di ogni evidente realtà. E’ vero che sull’Isola del Giglio, come ad Avetrana, tanto per citare un caso analogo, la morbosità collettiva si scatena, ma troppo spesso ci soffermiamo sull’effetto e non sulle cause e raramente ci chiediamo quali siano i perché di tali comportamenti. Poco si parla del fatto che nelle librerie e nelle videoteche, ad esempio, la maggioranza degli acquisti o dei noleggi è riferibile a generi come thriller, noir, horror, splatter, hard-sex e non è inusuale che editori spingano i propri autori, per essere pubblicati, a scrivere storie fortemente dure se non addirittura cruente. Se poi ci fermiamo a pensare che tra le meraviglie archeologiche del nostro Paese spicca Pompei, la quale, figlia di un disastro ben peggiore di quello della Concordia, vanta, senza suscitare scalpore alcuno, innumerevoli visitatatori da tutto il mondo, forse dovremmo porci ben altro tipo di interrogativi… E le mummie egiziane? E le tombe etrusche?
Comunque, al di là di irriverenti paralleli, cosa si dirà domani, quando, certamente, scrittori di nota fama o registi in auge pubblicheranno libri o sigleranno film e fiction televisive sul naufragio della Concordia e in ogni caso la Storia, quella con la “S” maiuscola,  registrerà l’evento come uno tra i più colossali disastri della  marineria mondiale e speriamo non ambientali? Scrittori, Registi, Storici, Ambientalisti apparterranno anche loro all’universo del “Turismo del Terrore”? 
Nel frattempo ringraziamo la nostra Annamaria Pirozzi che, all’Isola del Giglio, stava facendo il proprio dovere. 
              


FOTO GALLERY
by Annamaria Pirozzi & Mario Pesci

{morfeo 101} 

Il Reportage
UN GIORNO ALL’ISOLA DEL GIGLIO
di Annamaria Pirozzi – capo redattore Oltrepensiero.it
 

“LEI PERCHE’ E’ VENUTA?” E’ la domanda che mi sono sentita rivolgere all’arrivo sull’Isola del Giglio, ho provato un certo imbarazzo e mi son sentita anche offesa, non lo nego, nel come veniva posta. Il vero motivo era lo stesso di quel giornalista, ma in quel momento, dall’altra parte del microfono, mi sono sentita una cittadina qualunque e la risposta non è stata quella che avrebbe dovuto essere, impressionata com’ero da quel colosso inerme a poche centinaia di metri dal porto, ho semplicemente risposto che volevo rendermi conto di quello che era accaduto.

Intorno a me un nugolo di giornalisti, chi era già in diretta TV, chi provava il testo della notizia che avrebbe dovuto presentare da lì a poco. Un giornalista tedesco registrava la sua voce da più di 20 minuti, seduto poco più in là della schiera di altre troupe giornalistiche il cui idioma cambiava passo dopo passo lungo il percorso che, sulla banchina, conduceva al piccolo faro di colore verde. Quel faro che sembrava essere anch’esso irreale per le dimensioni rispetto a quel mostro la cui prua era sistemata nella stessa direzione.

L’immagine era assimilabile a quella di un SUV che avesse tentato di trovare riparo dentro il garage delle Micro Machine…

E’ vero c’era tantissima gente, e molta era venuta, come turista, da luoghi anche molto lontani; fidanzati che si baciavano sugli scogli davanti alla nave e chi scattava delle foto ricordo mettendosi in posa. Lo scenario surreale era, infatti, mitigato dal sole e soprattutto dalla staticità di quel colosso di 120 mila tonnellate che, benché inclinato su un fianco, dava ancora una immagine di sicurezza, intatto com’era. A distanza si potevano facilmente vedere gli scivoli d’acqua che terminavano nelle piscine, i campi da tennis delimitati dalle reti di protezione a impedire la fuoriuscita delle palline, i lettini che, sfidando la legge di gravità, erano saldamente legati sul ponte della nave; un susseguirsi di colori sgargianti, giallo, celeste, blu, verde si mescolavano senza disturbare nell’azzurro del mare; insomma chi non avesse visto lo squarcio sulla chiglia della nave con quell’enorme masso conficcato come se un gigante l’avesse morsa perdendo un dente, non avrebbe avuto la sensazione che quell’oggetto adagiato fosse, per alcuni, una tomba. Tutto dava l’impressione di tranquillità, non c’era fumo che usciva dalla nave, il mare era calmo e non si avvertiva alcun rumore; all’improvviso tutto questo si è interrotto dal motore e le eliche di un elicottero dei Vigili del Fuoco che passava a grande velocità sopra il piccolo porto e, dopo una breve perlustrazione sulla nave, tornava sopra di essa  facendo calare prima uno, e poi un secondo soccorritore. E’ stato in quel preciso momento che tutti si sono accorti di un altro scenario: i gommoni della Marina Militare che partivano dal porto e correvano a grande velocità trasportando i sommozzatori vicino alla nave, contemporaneamente una motovedetta della Guardia di Finanza e una dei Carabinieri si dirigevano, anche se più lentamente, nella stessa direzione, qualcuno o qualcosa era stato trovato. La tensione era aumentata, tutti intenti a interpretare ogni gesto di coloro che stavano operando. Tutte le troupe televisive si erano messe in moto, un giornalista spagnolo, un signore distinto più anziano degli altri suoi colleghi, commentava quanto stava succedendo in piedi sopra la valigia, dalla quale, pochi minuti prima, era stata tolta e assemblata la telecamera professionale del cameraman, quasi a cercare di assottigliare la differenza delle dimensioni dell’enorme nave rispetto alla sua altezza. Ogni sforzo per cercare di capire il motivo di tale subbuglio era inutile e dopo qualche minuto i due soccorritori venivano nuovamente prelevati dall’elicottero dei Vigili del Fuoco.

In tutto ciò era giunta l’ora di tornare sui propri passi, verso il traghetto che mi avrebbe riportata sulla penisola. Lungo il percorso a ritroso mi mescolavo al flusso ordinato di altre persone, intente nei propri pensieri o attività, una giornalista, con forte accento toscano, discuteva  animatamente al telefonino con la propria redazione, colpevole, a suo dire, di non aver mandato in onda il suo servizio nonostante le peripezie con le quali aveva affrontato i tornanti dell’isola per raggiungere la sede operativa del giornale e portare in tempo il materiale. Passavo in mezzo ai tavoli dei ristoranti, aperti per “l’occasione“,  un cameriere si affannava a spiegare a un gruppo di stranieri, probabilmente giornalisti, la differenza tra vongole e cozze, altri commensali erano intenti a gustare, direttamente nelle padelle in cui erano stati cucinati, delle abbondanti porzioni di spaghetti allo scoglio, a irridere l’altro scoglio che aveva provocato l’enorme disastro. Un pensiero irriverente mi è sopraggiunto in quell’istante immaginando che, magari, quello stesso piatto sarebbe comparso nei menù della prossima estate con un nome diverso: “Spaghetti alla Schettino”.

Ero arrivata al punto di imbarco e lo scenario cambiava nuovamente, la lunga serie di automezzi della Guardia di finanza, Vigili del Fuoco, Polizia, Carabinieri, Esercito e Protezione Civile presidiavano tutta una parte del porto; in fondo, l’accampamento di tende che avrebbero ospitato i tanti ragazzi che incessantemente si stavano prodigando per salvare vite o per recuperare  i corpi e riconsegnarli ai familiari.

La rotta del traghetto passava nuovamente vicino a quell’enorme gigante spiaggiato in cui probabilmente sono ancora imprigionati altri corpi e quella scena mi ha riportato alla mente un  estratto di un racconto di Tabucchi:  “Donna di Porto Pim” dove la vita degli uomini viene “interpretata” dall’occhio di una balena che dal mare li osserva mentre si affannano e si agitano in un triste rincorrere la vita, incomprensibile e vuota: priva di richiamo, amore,  pianto di lutto.

La Donna di Porto Pim“Sempre così affannati, e con lunghi arti che spesso agitano. E come sono poco rotondi, senza la maestosità delle forme compiute e sufficienti, ma con una piccola testa mobile nella quale pare si concentri tutta la loro strana vita. Arrivano scivolando sul mare, ma non nuotando, quasi fossero uccelli, e danno la morte con fragilità e graziosa ferocia. Stanno a lungo in silenzio, ma poi tra loro gridano con furia improvvisa, con un groviglio di suoni che quasi non varia e ai quali manca la perfezione dei nostri suoni essenziali: richiamo, amore, pianto di lutto. E come dev’essere penoso il loro amarsi: e ispido, quasi brusco, immediato, senza una soffice coltre di grasso, favorito dalla loro natura filiforme che non prevede l’eroica difficoltà dell’unione né i magnifici e teneri sforzi per conseguirla.
Non amano l’acqua, e la temono, e non si capisce perché la frequentino. Anche loro vanno a branchi, ma non portano femmine, e si indovina che esse stanno altrove, ma sono sempre invisibili. A volte cantano, ma solo per sé, e il loro canto non è un richiamo ma una forma di struggente lamento. Si stancano presto, e quando cala la sera si distendono sulle piccole isole che li conducono e forse si addormentano o guardano la luna. Scivolano via in silenzio e si capisce che sono tristi.”
[Antonio Tabucchi, Donna di Porto Pim, Sellerio editore, Palermo 1989, pp. 89-90]

mikronet

Lascia un commento