ADOLESCENTI ED ALCOL
(Francesca Carolei) – Una delle tematiche che sta ultimamente ponendosi all’attenzione di terapeuti e famiglie è l’abuso di alcol in età adolescenziale. Se fino a qualche anno fa la persona che abitualmente faceva uso di alcol era guardata con sospetto e veniva stigmatizzata socialmente, oggi non è più così. Anzi, soprattutto tra i più giovani, l’utilizzo di alcol viene visto come un imprescindibile rituale del sabato sera. In pochi anni risulta raddoppiato il consumo di alcol nella fascia d’età che va dai 14 ai 17 anni ed almeno il 13% dei quindicenni dichiara di essersi sbronzato almeno 20 volte nella sua vita.
L’utilizzo di alcolici viene visto dai ragazzi come un necessario supporto all’interazione sociale, aiuta ad essere più brillanti ed affascinanti. Inoltre, assistiamo al fenomeno definito “binge drinking”, ossia all’utilizzo di massicce dosi di alcol, spesso bevande diverse, lontano dai pasti ed assunte in un breve lasso di tempo, con il chiaro intento di raggiungere lo sballo. Se il bere alcol potesse definirsi anche come una imitazione degli adulti, c’è da dire che in questo caso non è così, perché non esiste il gusto per il singolo bicchiere. Si beve il più possibile qualsiasi tipo di bevanda per perdere il controllo e “divertirsi”. Ed i genitori? Spesso sono gli ultimi a sapere. Eppure dei segnali ci sarebbero. Ad esempio, il fermarsi spesso a dormire fuori il sabato sera. Molto spesso la notte del sabato si conclude in realtà la domenica mattina ed i ragazzi preferiscono non rientrare a casa con i postumi di una sbornia e l’odore di alcol addosso.
Perché? È difficile rispondere. Viviamo in un’epoca storica ricca di possibilità ed al contempo, paradossalmente, priva di grandi speranze. I ragazzi di oggi sanno che difficilmente riusciranno a crearsi un avvenire senza l’aiuto dei genitori, cosa che era possibile fino a qualche anno fa. Si beve per dimenticare i problemi, per sentirsi grandi, per essere accettati da un gruppo dove tutti bevono ed anche, paradossalmente, per sperimentare nuove emozioni. Anche se riesce difficile comprendere come l’ottundimento provocato dall’alcool possa aiutarli a mettersi in contatto con le proprie emozioni. La generazione dei social, eternamente connessa ed abituata a condividere qualsiasi cosa, manca di introspezione. Forse perché l’introspezione richiede tempo e pazienza, cose che la società odierna non incoraggia. La condivisione sui social è spesso superficiale e veloce. Sono ragazzi che hanno tutto sul piano materiale, ma poco abituati all’ascolto. Non è colpa loro, del resto. Essere ascoltati è il primo gradino per imparare ad ascoltare se stessi.
Le famiglie sono presenti materialmente, ma non sempre ascoltano i figli. Da terapeuta ho collaborato a lungo con le scuole, ed ho avuto modo di vedere come spesso i genitori considerino i figli non come individui a se stanti, ma come una proiezione di se stessi. C’è grande difficoltà ad accettare che un figlio abbia un problema. Non lo si vuole vedere, anche di fronte all’evidenza. Ed il “parlare con i figli” viene confuso con l’inondarli di parole sui propri bisogni e desideri, piuttosto che cercare di capire di cosa hanno bisogno loro. Non è facile, certo. Esiste sempre la possibilità di chiedere aiuto ad insegnanti ed esperti. Devo dire che nel nostro Paese c’è ancora un po’ di difficoltà a rivolgersi ad un esperto: viene vissuto come un fallimento personale. Si tratta di un pregiudizio da sfatare, per il bene dei nostri ragazzi.
Dottoressa Francesca Carolei
Psicoterapeuta
Cell. 338/2992864