GENITORI E FIGLI
(Francesca Carolei) – Faccio la psicoterapeuta da qualche anno ed ho sempre avuto a che fare con le famiglie. Famiglie di tutti i tipi e di tutte le classi sociali: il disagio psichico è una delle poche cose realmente democratiche della vita.
All’inizio del mio percorso lavorativo, credevo che il grado sociale più elevato implicasse una maggiore consapevolezza del disagio ed una maggiore prontezza nel ricercare una soluzione. Sbagliavo. Credo sia vero il contrario. E comunque, nel nostro Paese, c’è ancora una grande resistenza riguardo alla psicoterapia. Mi sono spesso chiesta il perché, ma credo che alcuni casi di cronaca degli ultimi tempi siano stati illuminanti.
Partiamo da un presupposto: i figli non sbagliano mai, qualunque cosa facciano, anche fosse un delitto efferato. I genitori sono sempre disponibili a difenderli in televisione o sulle pagine dei giornali. Il copione è sempre quello: bravi ragazzi che hanno incontrato cattive compagnie o l’uso di stupefacenti. Tutto plausibile, per carità, ma comprendere non vuol dire giustificare. Anche perché spesso si tratta di ragazzi abbastanza grandi o maggiorenni già da qualche anno, che dovrebbero avere sufficientemente chiara la differenza tra il bene e il male. Forse il nocciolo della questione è tutto qui: chi doveva spiegare a questi ragazzi la differenza tra il bene ed il male? Chi doveva vegliare sulle loro compagnie? Chi doveva accorgersi se facevano uso di sostanze?
I grandi assenti, o forse i grandi distratti, di tutta questa situazione sono appunto i genitori. Hanno il loro da fare, lavorano, devono occuparsi di mille cose. Ricordo una mamma che una volta mi disse di aver troppo poco tempo per mettersi a controllare il figlio. Questo è uno dei punti focali: nessuno pretende che i genitori controllino i figli, anzi, arrivare a farlo significa aver già fallito nel ruolo educativo. Cosa fare allora? Agire prima. Parlare, interessarsi, cercare di capire, magari anche litigare, ma lasciare una porta sempre aperta. I ragazzi hanno bisogno di sapere che ai genitori sta davvero a cuore il loro benessere, al di là di qualsiasi discussione, per quanto accesa, possa esserci tra loro. Ma devono anche sapere che ci sono delle regole da osservare e che violarle implica delle conseguenze.
Ecco, a me sembra che stiamo crescendo generazioni di ragazzi totalmente privi di un qualsiasi senso di responsabilità, perché la responsabilità è proprio questo: distinguere la cosa giusta da quella sbagliata. Se poi si decidesse fare la cosa sbagliata, bisogna essere consapevoli che ci saranno delle conseguenze. La mia impressione è che i primi a mancare di responsabilità siano proprio i genitori. Vedendo il figlio come un prolungamento narcisistico di se stessi, non ammettono che possa avere problemi. Insegnanti e terapeuti sbagliano di sicuro: la colpa è sicuramente del compagno che provoca, o del docente poco attento. Sempre di qualcun altro. Si crede che ammettere i problemi di un figlio significhi ammettere un fallimento come genitore. Non è così, è anzi l’occasione per recuperare un rapporto e magari imparare dai propri errori.
Qual è il risultato di questo stato di cose? Una generazione fragile, che crede che tutto sia concesso e che non sarà chiamata a rispondere dei propri errori, o che al limite ci penseranno mamma e papà. Con esiti a volte grotteschi. Ricordo l’intervista di un padre il cui figlio era stato accusato di un crimine particolarmente efferato, il quale ribadiva con forza che il figlio non era omosessuale. Assassino magari si, ma omossessuale no davvero.
Interroghiamoci sulla nostra scala di valori.
Dottoressa Francesca Carolei
Psicoterapeuta
Cell. 338/2992864