CIASCUNO DI NOI ASPETTA UN PROPRIO . . .

I L V A C U O D I L E G U O D E L D O M A N I
di Alessandra Giannitelli
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Oh mole immensa di dolore che addensa il Tempo nello Spazio! A che destino ignoto si soffre? Va dispersa la lacrima che versa l’Umanità nel vuoto? da La via del rifugio di Guido Gozzano |
“[…] qualcosa sempre circola nell’aria – / se ne va ma poi ritorna. Basta/ lasciare che le vele seguano/ gli autofagi capricci di Crono/ e del suo vento. Basta allentare/ la presa delle cime, lasciar colare/ sulle tempie il tempo,/ senza spavento” (Intorno a me): è forte e difficilmente trascurabile il riferimento – intenzionale o meno – all’interrogativo gozzaniano, nella riflessione che Marcoaldi affronta in Il tempo ormai breve, una sorta di antologia poetica del tempo nelle sue infinite raffigurazioni.
C’è un tempo per ricordare, un tempo per rimpiangere, per rinnegare, un altro ancora per sperare, per immaginare i giorni a venire, per sognare. Marcoaldi li racchiude e li rappresenta tutti, cristallizzandoli in una sorta di collage poetico, la cui immagine conclusiva sembra essere l’ambiguità del tempo in quanto tale, la sua diversa interpretazione basata sulle stagioni della vita, sulle esperienze personali, i ricordi, le aspettative.
segue … >>>

I L V A C U O D I L E G U O D E L D O M A N I
di Alessandra Giannitelli
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Oh mole immensa di dolore che addensa il Tempo nello Spazio! A che destino ignoto si soffre? Va dispersa la lacrima che versa l’Umanità nel vuoto? da La via del rifugio di Guido Gozzano |
“[…] qualcosa sempre circola nell’aria – / se ne va ma poi ritorna. Basta/ lasciare che le vele seguano/ gli autofagi capricci di Crono/ e del suo vento. Basta allentare/ la presa delle cime, lasciar colare/ sulle tempie il tempo,/ senza spavento” (Intorno a me): è forte e difficilmente trascurabile il riferimento – intenzionale o meno – all’interrogativo gozzaniano, nella riflessione che Marcoaldi affronta in Il tempo ormai breve, una sorta di antologia poetica del tempo nelle sue infinite raffigurazioni.
C’è un tempo per ricordare, un tempo per rimpiangere, per rinnegare, un altro ancora per sperare, per immaginare i giorni a venire, per sognare. Marcoaldi li racchiude e li rappresenta tutti, cristallizzandoli in una sorta di collage poetico, la cui immagine conclusiva sembra essere l’ambiguità del tempo in quanto tale, la sua diversa interpretazione basata sulle stagioni della vita, sulle esperienze personali, i ricordi, le aspettative.
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Ecco allora che il passato diventa, arbitrariamente, un fardello di cui pentirsi o un paradiso da rimpiangere, fondendosi a volte con presente e futuro.
“Da dove viene questa paura arcana/ che a ogni risveglio mi stringe/ con un brontolio rabbioso il petto?” (La paura), si domanda l’autore, impaziente – ma al contempo rassegnato – di scrollarsi di dosso quel fastidioso mugugno interiore che appesantisce l’attesa e vanifica il trascorso.
A volte non resta che dimenticare – o meglio, obliare – per poter proseguire, perché la memoria è forse il primo segnale di quel malessere informe e tenace.
Considerazioni che sembrano trovare respiro soltanto nell’immagine di un consapevole – eppur sofferto – abbandono al corso del tempo, in qualunque stagione della propria vita.
Una necessaria apatia – per tornare a Gozzano – che ci permetta di sopravvivere al ricordo e all’attesa. Perché il tempo non offre soluzioni, solo interrogativi irrisolvibili, se non a posteriori, sempre troppo tardi.
“Ecco un bel modo di finire:/ nell’esatto momento in cui/ il nuovo sta per arrivare” (L’ultima goccia d’olio).