Il MOBBING

Il MOBBING

Mobbing

(Francesca Carolei) – La parola “mobbing” deriva dal verbo inglese “to mob”, che vuol dire “assalire”. Con questo termine si intendono delle azioni ricorrenti e chiaramente ostili intraprese nei confronti del lavoratore, tese a raggiungere l’allontanamento dello stesso dal luogo di lavoro. Le varie forme di persecuzione possono essere esercitate sia dai colleghi della vittima sia dal datore di lavoro, direttamente o tramite suoi rappresentanti. Perché si arriva a tutto questo? Quali sono le cause? Cerchiamo di capire. Innanzitutto, dobbiamo specificare che esistono diversi tipi di mobbing, a seconda del soggetto che pone in atto i comportamenti persecutori. Dobbiamo infatti distinguere tra:

§ mobbing verticale (o bossing), perpetrato dal datore di lavoro o dai superiori gerarchici nei confronti del dipendente, sfruttando la propria posizione di superiorità;

§ mobbing orizzontale, praticato dai colleghi di pari grado gerarchico.

§ Esiste poi un terzo tipo di mobbing, meno conosciuto: quello che i dipendenti possono esercitare nei confronti dei superiori. A tal proposito si parla di mobbing ascendente, praticato dai dipendenti che si coalizzano contro il datore di lavoro o i superiori gerarchici, con attacchi di ribellione eccessivi e non sorretti da adeguate motivazioni, con conseguenti danni, economici e non, all’azienda. Oltreché, ovviamente, al benessere psicofisico del superiore ingiustamente ostracizzato.

Il mobbing si attua tramite comportamenti più o meno “scoperti”. Vediamone alcuni:

calunniare o diffamare un lavoratore, oppure la sua famiglia. Nei casi più gravi, tali comportamenti possono configurare i reati di ingiuria e diffamazione;
negare deliberatamente informazioni relative al lavoro oppure fornire informazioni non corrette a riguardo;
sabotare o impedire in maniera deliberata l’esecuzione del lavoro;
escludere in modo offensivo il lavoratore, oppure boicottarlo o disprezzarlo;
ingiustificato diniego di ferie e permessi;
demansionamento e dequalificazione professionale del dipendente, volto a ridurne fortemente l’autostima e bloccarne la carriera;
sovraccarico di lavoro, con continuo spostamento di mansioni e/o trasferimenti, con conseguente instabilità e ripercussioni sulla vita sociale, familiare e sulla salute del dipendente;
revoca ingiustificata di benefits aziendali (cellulare, auto, computer ecc.);
isolamento del lavoratore in sedi o in luoghi di lavoro deserti o angusti;
ripetute sanzioni disciplinari non necessarie;
controllare l’operato del lavoratore senza che lo sappia e con l’intento di danneggiarlo;
esercitare minacce, intimorire o avvilire la persona, come nel caso di molestie sessuali.

MobbingNon ci vuole molto a capire come tale situazione abbia un costo personale e sociale altissimo, poiché il soggetto mobbizzato (cioè la vittima del mobbing) inizierà con il tempo ad accusare una sintomatologia di tipo ansioso e depressivo che inciderà in modo negativo sul proprio benessere e sui rapporti con amici e familiari. I danni saranno tanto più significativi quanto più la condotta dei mobbers (coloro che attuano il mobbing) sarà grave (si pensi ad es. alle molestie sessuali) e prolungata nel tempo. Sarà ancora più grave quanto maggiore sarà il numero di persone coinvolte nelle dinamiche persecutorie o semplicemente di coloro i quali restano in silenzio di fronte alla situazione che si è venuta a creare, facendo sentire la persona ancora più sola ed impotente. Si presenteranno quindi elevati livelli di stress e patologie di tipo fisiologico, abuso di farmaci o sostanze dannose o reazioni a livello mentale: disturbi del sonno, perdita di autostima, problemi di ansia, “rimuginare” su cose e fatti, depressione e sintomatologia maniacale. Tutto ciò in aggiunta ad una ridotta capacità produttiva sul luogo di lavoro, da cui il soggetto cercherà di tenersi lontano tramite i permessi per malattia. In questi casi, si consiglia di richiedere l’aiuto di specialisti per un sostegno psicoterapeutico e farmacologico. Si comprende quindi come il fenomeno del mobbimg comporti spese altissime sia in perdita di produttività che in spese a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

MobbingQuando lo stress e la tensione psicologica diventano inaccettabili, il mobbizzato è tentato di abbandonare il lavoro per lasciarsi alle spalle una situazione ormai insostenibile. Il primo consiglio da dare è di non prendere decisioni irreversibili. Qualunque decisione presa sotto la spinta dell’emozione potrebbe poi rivelarsi insoddisfacente. Stiamo parlando di soluzioni quali le dimissioni per disperazione o l’accettazione di prepensionamenti forzati e così via. Si può ricorrere ad un allontanamento provvisorio oppure definitivo, ma si tratta di scelte che vanno valutate attentamente. Molte vittime di violenza psicologica decidono di allontanarsi definitivamente dall’ambiente mobbizzante e di cambiare lavoro. Se non viene vissuta come una sconfitta, questa soluzione porta ad un ritrovato equilibrio interiore e ad un senso di liberazione. Non possiamo però considerarla una strategia vincente, poiché non è applicabile a tutti.

Fallito ogni possibile tentativo di accordo, l’ultima via che rimane è quella legale. Bisogna essere coscienti però del fatto che intraprendere le vie legali comporta un notevole dispendio di energie psico-fisiche ed economiche. Attualmente, in Italia non esiste una legge anti-mobbing; malgrado questo, sempre più spesso i lavoratori si affidano alle vie legali. Bisogna però essere consapevoli che tale decisione implica uno sforzo emotivo e finanziario che non tutti, specie dopo un lungo periodo di mobbing, sono in grado di sopportare. Un mobbizzato, qualora decida di intentare causa contro il proprio persecutore, può fare appello tanto al diritto del lavoro quanto alla giurisprudenza civile e penale. Molto dipende dal tipo di azioni di cui è stato vittima.

Tutela CivilePer quanto riguarda la tutela civile, si deve distinguere tra tutela contrattuale ed extra-contrattuale. La tutela contrattuale (che difende il lavoratore nell’ambito del contratto con il datore di lavoro) si manifesta in vari precetti. Emerge, innanzitutto, l’obbligo del datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Con riferimento al mobbing, ciò significa che non solo deve evitare di porre in essere condotte vessatorie verso i propri dipendenti, ma anche vigilare affinché non siano altri lavoratori o superiori gerarchici a tenere tali condotte. Il datore ha, dunque, l’obbligo di impegnarsi a fornire ai suoi dipendenti un ambiente lavorativo sicuro e sereno, in cui non risultino offese la dignità e la personalità dei lavoratori. Deve prevenire e sanzionare, esercitando il proprio potere disciplinare, tutti gli atteggiamenti che rendano difficile lavorare in azienda. Diversamente, egli è responsabile nei confronti del lavoratore/i danneggiato/i. Un’altra tutela per il lavoratore è nel caso di demansionamento o dequalificazione professionale. In particolare, il dipendente non può essere assegnato a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto. Ciò vale sia se gli venga assegnata una qualifica più bassa, sia se – immutata la qualifica professionale – venga assegnato a compiti che, nella sostanza, sono da considerarsi di livello inferiore. Se il datore di lavoro viola tale divieto, il lavoratore può chiedere al giudice di dichiarare la nullità dell’atto di assegnazione a mansioni inferiori e di essere reintegrato nelle mansioni precedentemente svolte o in mansioni equivalenti. La tutela extracontrattuale, invece, protegge il lavoratore dai danni ingiusti subiti dal datore o dai colleghi, verificatisi indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro. La responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro sussiste tutte le volte in cui dalla medesima violazione derivi una lesione di diritti del lavoratore intesa come persona, indipendentemente dal rapporto di lavoro (ad es. violazione del diritto alla salute). In questi casi il lavoratore potrà esperire entrambe le azioni: sia quella contrattuale che quella extracontrattuale.

Il risarcimento per la vittima può consistere nel:

danno patrimoniale: qualora gli atti vessatori abbiano ripercussioni sul suo patrimonio o comunque sulla sua condizione economica (per es. demansionamento e riduzione della retribuzione);

danno biologico: qualora gli effetti negativi ricadano sulla sua salute psico-fisica (per es. molestie sessuali e psicologiche);

danno morale: qualora la condotta del mobber leda la sua dignità e personalità (per es. tramite offese).

Affinché il lavoratore possa chiedere tutela in tribunale è necessario che provi:

l’esistenza della condotta di mobbing,

la colpa o il dolo del mobber nel tener tale condotta

il verificarsi di un danno ingiusto (patrimoniale, biologico, morale) come conseguenza della condotta stessa.

Tale onere probatorio è particolarmente gravoso in quanto spesso è difficile per la vittima dimostrare il danno (per es. una lesione alla salute psichica può manifestarsi dopo molto tempo) oppure, ancora peggio, dimostrare il verificarsi delle condotte di mobbing (per es. i testimoni si rifiutano di parlare per timore di ritorsioni da parte del mobber).

Tutela PenaleLa tutela penale si può applicare ai casi di mobbing soltanto quando la situazione è degenerata nel reato penale. Ciò accade soprattutto nel caso in cui il comportamento del mobber configuri i reati di ingiuria e diffamazione poiché ledono il decoro e la reputazione della persona. Lo stesso dicasi per le condotte persecutorie che possano accompagnarsi ai reati di lesioni personali colpose o al reato di violenza privata. Una menzione a parte merita poi il reato di molestie sessuali, da intendersi non solo come violenza sessuale vera e propria ma anche come attenzioni indesiderate e “proposte indecenti” che mirano a ledere la dignità e l’integrità psico-fisica della vittima.

Dispiace dover rilevare ancora una volta come alle carenze legislative nel nostro Paese si accosti una mentalità antiquata che spesso impedisce alle vittime di chiedere aiuto e sostegno al di fuori del nucleo familiare, temendo di essere giudicate sciocche o mentalmente instabili. Il mobbing dovrebbe quindi venire affrontato da due angolazioni diverse eppure complementari: una legislazione adeguata ai problemi dei giorni nostri ed una maggiore consapevolezza del lavoratore del proprio diritto alla salute. Dobbiamo sottolineare come la prevenzione sia il nostro strumento più potente ed anche il più trascurato. Sarebbero infatti auspicabili percorsi scolastici tenuti da specialisti qualificati che insegnino ai ragazzi ad esprimere e gestire al meglio la sfera emotiva e relazionale, in modo da affrontare il mondo del lavoro con degli strumenti che li mettano in condizioni di scoprire “sul nascere” possibili situazioni di abuso psicologico ed agire per tempo cercando soluzioni alternative alle vie legali, laddove sia possibile.

Dottoressa Francesca Carolei
Psicologa-Psicoterapeuta

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